La "mano vuota" di Ryūkyū
I moderni stili di Karate derivano fondamentalmente dalle tre principali correnti del IX secolo presenti nelle isole RyuKyu (in Giappone identificate come "Nansei Shoto", ovvero "Isole a sud-ovest"): Shuri-te, Tomari-te, Naha-te, in base alle città in cui venivano allenate ed evolute. Queste, a loro volta, traggono origini dagli stili cinesi Shorin e Shorei dello Shaolin, che si sono poi plasmati per via dei numerosissimi contatti con gli stili nipponici appartenenti alla famiglia del JuTaiJutsu a partire dal periodo Sengoku (1500 circa). Anche questi stili giapponesi derivavano a loro volta dalla Cina, ma erano focalizzati sulle tecniche di disarmo, lussazioni e immobilizzazioni, piuttosto che di percussione come accadde ad Okinawa dove, in quegli stessi decenni (dal 1470), era proibito il possesso di armamentari ed i guerrieri contadini si vedevano perciò costretti a codificare tecniche marziali che portassero ad una concentrazione nei colpi atta alla rottura delle robuste armature degli invasori samurai (da quì il Tameshiwari), ed utilizzare strumenti di uso comune e contadino come armi (da quì il Kobudo di Okinawa). Analogamente a come accadeva in Giappone, diverse erano le scuole, e lo studio di molteplici tipi di tecniche era fortemente relazionato alle esigenze belliche del periodo.
L'essenza degli stili Shorin e Shorei è rimasta confinata nelle isole Ryukyu praticamente fino a qualche decennio a questa parte, ovvero fin quando praticanti occidentali come George Dillman, spinti dalla profonda convinzione che, dietro il Karate importato nel loro occidente tra gli anni '20 e '50 attraverso alcuni militari sotto la quasi esclusiva rivisitazione del Bogu Kumite di S.Nakamura (il 'padre' del combattimento con protezioni) e di forme apprese superficialmente e come semplici esercizi fisici, ci fossero radici ben più complesse e misteriose, decisero di viaggiare fin laggiù in quelle terre dimenticate alla ricerca di maestri tradizionali ancora in vita. E' così che è nato ad esempio l'attuale Kyusho Jutsu, studiato a complemento di altre arti marziali. Una pratica che svela un Karate del tutto sconosciuto alla stragrande maggioranza delle persone, e che trae a sua volta origine dagli insegnamenti di antichi maestri della Cina. Non a caso, l'esperto di DimMak Erle Montaigue, venuto a mancare pochi anni fa, iniziò a scrivere sull'arte di colpire le cavità lungo i JingMai ben prima di Dillman, ed i suoi maestri non furono delle isole RyuKyu bensì dello Wudang Shan, la catena montuosa dove si narra visse Zhang Shan, il creatore taoista del sistema vissuto verso gli inizi del 1300.
Nelle isole RyuKyu le arti marziali attraversarono dunque numerose trasformazioni parallele alle mutazioni storiche ed alle ragioni sociali, adattandosi di volta in volta a quelle che erano le esigenze dei suoi abitanti, pur mantenendo in alcuni tratti la tradizione profonda, un filo connettore tra tutti i tipi di "karate" che si sono susseguiti nel tempo. Questa matrice comune è data dal complesso concetto dei "Kata", oggigiorno in europa ed america generalmente definiti come "simulazioni di combattimento contro avversari immaginari", ma nella realtà, in origine, alfabeto essenziale d'una scuola di arti marziali. Venivano praticati e ripraticati fino allo sfinimento, man mano aggiungendo elementi che ne svelassero le potenzialità. Studio e concentrazione delle tecniche, delle posizioni, dei kamae, della respirazione, delle angolazioni di difesa e di attacco, arrivando fino allo studio del Ki e al controllo del Dantian, che poi è anche l'essenza del KiAi, il cosìdetto "grido" del Karate.