In questa sezione segue un elenco di pensieri ed articoli su varie discipline marziali, difesa personale, evoluzione psicologica, relazioni umane, ordinati per data di creazione. Gli interessati alla lettura possono accedere direttamente ad un particolare articolo, oppure seguire la consequenzialità cronologica. E' bene avvertire che alcuni articoli sono "indipendenti", altri possono invece contenere elementi necessari alla comprensione del seguente, o rispondere a domande poste in uno precedente. Lo stesso blog è infatti in continua evoluzione, un ordinamento consequenziale di informazioni e spiegazioni sulle tematiche meno conosciute orbitanti attorno le arti e le filosofie marziali.

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Tecniche di allenamento col Nunchaku 雙節棍

12.02.2017 12:12

Dal livello base al livello avanzato, alcuni esempi di tecniche col Nunchaku per migliorare le prestazioni di brachioradiale ed estensori delle dita, coordinazione e velocità delle braccia, tutti propedeutici anche alle applicazioni marziali QinNa.

 

Il testamento di Tito

17.02.2016 20:41

Coordinate marziali del Pancrazio e degli incontri in gabbia

12.04.2015 11:36

Alcuni affermano che gli incontri di Valetudo ed MMA derivino direttamente dal Pancrazio dell'antica Grecia. Vediamo perché ciò non sia vero, analizzando le loro "coordinate marziali", attraversando concetti di agòn, agonista e guerriero.

 

Karate, Taijutsu, Ninpo, Judo, Aikido, Pancrazio, MMA, KungFu, Muay Boran, e così via. Ognuna di queste discipline ha una propria storia, con precise coordinate temporali, geografiche, antropologiche.  A livello tecnico, da sempre ma soprattutto nell'ultimo mezzo secolo, molte di esse si sono fuse, scisse, riassemblate, condizionate a vicenda.  A livello demiurgico e motivazionale però, ovvero in ciò per cui è nata ciascuna disciplina con quelle sue proprie ed uniche coordinate, è accaduto un caos, una confusione senza pari, che ha portato al tracollo per mala interpretazione di tali arti: il TaiChi trasformato in danza, il Karate e il Judo in scommesse sportive, il Tameshiwari in Guiness World Record;  si fanno paragoni tra discipline che non hanno nulla in comune, e gran parte del mondo delle arti marziali sembra amalgamato dalla voglia di denaro e potere. Chi lucra su assurde tecniche di controllo fisico istantaneo col solo pensiero, chi confonde coraggio e fortezza con l'ostentazione.  É la globalizzazione delle arti marziali.  La verità è che c'è ignoranza diffusa, al riguardo. Non delle singole persone, ma dell'intera informazione media di praticanti e non. Un ginepraio di scuole di pensiero che si riducono a due o tre detti comuni inconcludenti.  Allora andiamo a cercarle, quelle coordinate originali alla base di ciascuna disciplina, o per lo meno di poche discipline che fungano da standard per ciascun gruppo di appartenenza.   E cerchiamo di metterle in confronto con le attuali coordinate, quelle del modello sociale europeo dell'anno 2015 dC, così da poter fare esaustive (e pur sempre personali) argomentazioni.  É proprio questo uno dei fulcri del mio Blog: cercare le "coordinate marziali" di partenza delle discipline, per comprenderne l'origine dei costumi, le motivazioni con cui son state create, e quindi i binari che le stesse percorrono.

 

In altre pagine ho dato in un modo o nell'altro delle "coordinate" a Ninpo, Budo, Karate. Ora parliamo del Pancrazio, l'antenato del ValeTudo e delle MMA. Il Pancrazio (da παγκράτιον che vuol dire "potere tutto") nacque da Lotta e Pugilato nella Grecia del 650 aC, quando fu inserita nelle feste dedicate a Zeus ad Olimpia, le Olimpiadi, incentrate su gare mimanti la guerra che rendessero più maestosi e solenni i riti religiosi, commemorativi della scomparsa di grandi personaggi. "O corona o morte": non esisteva un secondo o terzo posto, c'era un solo atleta vincitore accostato alla divinità, e la perdita era considerata un disonore e un'infamia. L'importante era vincere, non partecipare, poiché attraverso l'accostamento divino il messaggio che si voleva trasmettere a Zeus era che lui e lui solo era il vincitore, che essi onoravano e temevano: questo, il cuore dell'agòn (da cui "agonismo").   A quei tempi l'aspettativa media di vita era di circa 35 anni, ma i pancratiasti vivevano molto meno per i traumi fisici subiti durante gli incontri.  Platone, nel suo Timeo del 360 aC, avrebbe poi scritto che la cultura del corpo era fondamentale per una vita ed una personalità sana, ma si scagliò contro l'agonismo, che esortava ad abolire poiché portava gli atleti "al culto della brutalità, indebolendone sia il fisico sia l'intelletto" (*).  A Roma sarebbe inoltre poi stata importata la stessa idea di scontro in un'arena, ma stavolta tra schiavi di guerra o dissidenti muniti anche di armi come il Gladio, in onore non più di un dio bensì dell'imperatore o di una platea che faceva scommesse (Munera Gladiatoria).  Il lanista, l'organizzatore privato di questi eventi, era un imprenditore, proprietario dei gladiatori, che allenava, acquistava o vendeva a suo piacimento, tanto che la sua attività era per questo considerata dal popolo vile e più bassa di quella dei lenoni (i trafficanti di schiave) (*): si ricordi che la platea era costituita da senatori, ricchi, e al più plebei sposati, non dal vero popolo, e spesso avvenivano rivolte degli schiavi gladiatori (la più famose delle quali fu quella di Spartaco). Addirittura, al contempo, gli stessi spettacoli gladiatorii erano diventati oltre che un mezzo di lucro attraverso gli schiavi combattenti, anche un modo per accaparrarsi i voti degli elettori, tanto che nel 67 dC con la Lex Carpugna de Ambito, si proibì ad un candidato di distribuire posti ai cittadini in occasione di queste manifestazioni.  L'agòn, già di per se malsano, si era trasformato in munus dare ovvero 'offrire spettacolo' alla parte più ricca del popolo,  plebis metum inicere ovvero 'incutere paura' all'intero popolo mostrando l'irrefutabile potere centrale che decideva sulla vita o sulla morte degli uomini, e chiaramente un lucri causa ovvero un mezzo di guadagno degli organizzatori delle manifestazioni gladatorie.

 

Sono passati quasi 3000 anni. Fortunatamente ci siamo evoluti: in Europa esistono ormai solo nei libri gli schiavi, la lancia dell'esercito che difendeva l'imperatore, l'agòn legato alle cerimonie a Zeus, il lucri causa degli organizzatori di eventi...  ma siamo sicuri? Esistono operai che lavorano tutto il giorno per pochi spiccioli mentre i loro dirigenti sono in crociera, esistono le armi da fuoco detenute dalla polizia che difende quegli stessi dirigenti, esiste l'agonismo in qualunque settore della vita, e grandi associazioni di eventi che lucrano dietro combattenti in gabbia.  In 3000 anni non è cambiato nulla, solo l'aspettativa media di salute e di vita, che comunque per pugili professionisti e affini è minore di quella delle altre persone.  Ora come in origine in Grecia, gli atleti di loro spontanea volontà vogliono seguire questo percorso, ma non più per cercare una gloria in onore di Zeus, che come accennato era proprio il motivo stesso della nascita dell'agòn, bensì per una fama fine a sé stessa, un'ombra di quelle tradizioni, che si nutre del lucri causa tipico dei Munera a Roma (ci si affida ad associazioni che vendono l'immagine del combattente in cambio della popolarità dello stesso), e di quella che nel gergo della psicologia analitica moderna viene definita "nevrosi del successo" (di tipo fobico-ossessivo), che è la causa anche di molte altre problematiche del mondo.  Proprio ciò che parallelamente molte arti marziali orbitanti attorno al Buddhismo Chàn, fino ad arrivare all'Aikido o ad altre forme di Budo, lontanissime in 'coordinate marziali', aiutano ad abbandonare (o DOVREBBERO aiutare ad abbandonare.. anche nell'Aikido ed in altre discipline moderne oggi sembrano esserci spesso fini economici sopra ogni cosa, a discapito degli insegnamenti di Ueshiba e di altri fondatori di scuole di Budo).

 

C'è da sottolineare che guerrieri e soldati nella Grecia antica non partecipavano al Pancrazio ad Olimpia. Imparavano a combattere con armi e senza armi, ma mantenendo il focus sulla salute fisica e sulla fortitu do (vedi quì cosa vuol dire fortitudo) fondamentali per essere pronti ad un'eventuale battaglia.  La gloria sarebbe arrivata loro a seguito di gesta memorabili in difesa del popolo, non in vita in eventi circensi. E' assai probabile che uno di quegli stessi eroi di guerra che venivano celebrati durante le Olimpiadi greche, messo a combattere contro un pancratiasta, avrebbe perso. Questo perché erano due cose diverse. Discorso simile a Roma, in cui i munera gladiatoria erano solo massacri tra schiavi per divertire l'elite attraverso scommesse, e ribadire il suo potere di vita o di morte sulla gente. Ora vediamo questi tre video:

                   

In tutti e tre i video si ripete uno stesso schema: due animali che lottano, ed un pubblico che fa scommesse sul vincitore.  La differenza è che nel secondo e terzo caso i due animali vengono messi contro il loro volere in uno spazio ristretto e sotto stress, e competono perché nella 'lotta o fuga', senza possibilità di fuga devono lottare;  nel primo caso invece i due animali si sono messi di loro spontanea volontà all'interno di uno spazio ristretto e sotto stress, che è innaturale poiché, come descritto in un paio di articoli precedenti (La natura dell'uomo), in natura tra due primati da branco non avviene predazione (quindi a fine di nutrizione.. tranne forse per Hannibal Lecter) né competizione a patto che non vi sia reale limitazione di spazio, cibo o possibilità di accoppiamento. Parallelamente, un addestramento militare non si è mai svolto a questa maniera: un soldato con la faccia gonfia e costole incrinate, non serve. Né servono esaltati che si facciano filmare mentre uccidono un avversario. Servono guerrieri. Cosa vuol dire quindi essere un guerriero? Essere migliori di ieri, non di qualcun'altro (Jikoro Kano), poiché nella vera arte marziale non ci sono nemici: la vera arte marziale è una manifestazione dell'amore, la Via del Guerriero non è distruggere o uccidere, ma nutrire la vita; deve insegnare alla gente a sconfiggere la mente conflittuale che si annida dentro di noi (Mohirei Ueshiba). C'è gente che direbbe "eh, se viene l'ISIS a casa tua voglio vedere cosa fai con l'amore": non è un incontro di valetudo che insegna a difenderti contro l'ISIS;  "e se viene uno per strada che ti vuole menare? almeno ti sei fatto la pellaccia": se ti sbarazzi di orgoglio e ostentazione, questi incontri diminuiscono incredibilmente, e nella difesa personale (quindi nella "lotta o fuga" in assenza di possibilità di fuga) vigono leggi, modi, motivazioni e fini completamente diversi da quelli di un incontro in arena a fin di lucro (lucro dell'antico lanista romano o lucro della moderna associazione organizzativa) (nb: ora basta un dodicenne con la pistola per uccidere un Mike Tyson):  "if you do something and it saves your life, it was good taijutsu. In a real fight, your aren't worried about what is pretty. The most important thing is to survive" (M.Hatsumi).  E' moda difendere a spada tratta un proprio gruppo di appartenenza tentando di sminuire gli altri. Personalmente non mi ritengo appartenente ad alcun 'gruppo': ci vogliono solo una quarantina di euro per iscriversi ad una palestra, di qualunque disciplina si tratti (e così dire di "farne parte"). La chiave è comprendere cosa realmente serve ad un essere umano, perché serve, e che fenomeno ha portato a questa motivazione. Come visto, le coordinate marziali del Pancrazio erano completamente diverse da quelle che in molti pensano. L'agòn era un fenomeno circoscritto strettamente legato alle celebrazioni di Zeus in onore di eroi caduti in battaglia. L'agonismo attuale è invece un fenomeno di massa che deriva dalla perpetuazione e distorsione dell'agòn nei secoli, e che va ricordato etimologicamente essere un sinonimo di antagonismo (dal greco antico antagonistis : anti (opposti) agonistis (lottatori); "l'essere in antagonismo per vincere una lotta crea ἀγωνία, agonìa, che è angoscia e dolore"*).  Nelle discipline atletiche della nostra società non serve agonismo/antagonismo, nato come sacrificio d'un perdente, l'umanità, in lode ad un vincente, Zeus, il quale stesso, si pensava, osservasse dall'Olimpo le Olimpiadi, compiacendosi della prosternazione della gente nei suoi confronti. Insisto molto su questo concetto perché è il passo fondamentale: concettualizzando questa cosa, si capisce come sia insensato (privo del senso originale), sterile (non atto al progresso biologico e sociale), controproducente (come scrisse Platone nel Timeo), combattere dentro una gabbia. Alimenta l'osten tazione, riduce la qualità della vita. L'arte marziale è l'utilizzo del proprio corpo per manifestare lo spirito in forma fisica (M.Ueshiba).. ed un potente mezzo per poter fare l'inverso!! Coltivare spiriti liberi e pacifici attraverso lo Jita Yuwa Kio Ei ("reciproca prosperità", J.Kano), così da rendere la stessa società libera da un violento vincitore ad ogni costo. Questo è il BUDO, la via del guerriero che disarma l'avversario, si spoglia delle proprie armi, e prosegue per la sua strada. Un'immagine potente, anche a livello psicologico.. applicabile a qualunque contesto della vita. Quando hai la pace dentro, ed hai abbandonato lo spirito dell'agòn dentro di te, sei più in salute, più produttivo nei rapporti personali, nel sesso, più produttivo nelle arti fisiche e mentali, nel lavoro. Vivi meglio. Non c'è nessun Zeus a cui sacrificarsi, l'agòn originale è nato e morto nell'antica Grecia con gli dei per cui era stato concepito. Ora come ora, vi è solo antagonismo.

 

In un combattimento in gabbia, non c'è una reale vittoria. Gli incontri di Valetudo e MMA (di cui la maggior organizzatrice d'incontri è la UFC), che dicono derivino dal Pancrazio, sono spesso un lavoro (talvolta persino sottoretribuito), ci si prepara a confrontarsi in risse per soldi e/o per successo, attraverso il divertimento di un pubblico, e per far pubblicità a sponsor; praticamente come il wrestling. Ma con sangue reale. Un "guerriero" è tutt'altra cosa, la "via del guerriero" (che è un esempio a cui tendere) comprende altre sfere e moti d'animo dell'essere umano, e per imparare prettamente a difendersi o a lottare, non c'è bisogno di un pubblico o del successo. La vittoria non è il pubblico o il successo. La vittoria sembra essere un prodotto di consumo. Come gli stessi gadgets che le stesse associazioni mettono poi nel mercato. Nell'antica roma lo sponsor era il tuo padrone, ora lo è chi ti veste.

     

Nella forma sono molto simili (due persone che si picchiano), ma nelle "coordinate marziali" (tempo; geografia; motivi ed antropologia), il Pancrazio (VII sec aC; Grecia; agòn per lode a Zeus), e gli incontri in gabbia (XX sec dC; occidente; antagonismo per lucri causa e successo), sono completamente diversi. Per questo a parer mio non si può affermare, come è d'uso comune, che ValeTudo ed MMA siano il Pancrazio dei nostri giorni. Abominio è poi affermare che questi atleti siano guerrieri o eroi: sono atleti professionisti. Ho sentito alcuni dire che "questi lottatori affrontano con coraggio le sofferenze". Se le cercano, le sofferenze; un pirata della strada demente affronterebbe per caso con coraggio il pericolo della velocità? Ho sentito poi altri che escono fuori dal tema Pancrazio e Munera Gladiatoria, inventandosi un'analogia coi "soldati spartani": se si vuol far paragone tra la "severità" in palestra e la dura pedagogia spartana (simile ad alcune antiche tribù africane), lì a Sparta come rito di iniziazione all'età adulta il giovanissimo aveva il compito di uccidere per le foreste uno schiavo della gleba (un ilota), il ché per la nostra società è un obbrorio; se si vuol far riferimento agli allenamenti per una battaglia, Leonida e Aristodemo non si picchiarono per prepararsi alle Termopili.  Eppure è facile ascoltare tante millanterie ("io sono spartano!  io sono un guerriero!  io sono forte! .."). Nonostante nel mondo delle MMA vi siano atleti bravissimi a livello tecnico come Anderson Silva, la realtà, a parer mio, è che nelle seguenti immagini (tratte da Google) non ci sono guerrieri od eroi, ma atleti ostentanti e un po' fessi (dal lat. fissus "crepato", "ammaccato"); non si discute sulla tecnica, ma sul fine di quella tecnica, il portarla in un'arena; se c'è un problema nel mondo dell'MMA o del Pugilato, non è nella loro esistenza, ma nell'idea spesso diffusa di "guerriero" al posto di "atleta agonistico". Sono due cose diverse, e ad ognuna va dato il suo nome. Sono dell'idea che se sei un praticante di una disciplina marziale, e vuoi migliorare la tecnica, fai sparring sicuro con chi è tecnicamente più avanzato di te nella tua disciplina e ti ci alleni assieme in una stanza chiusa, oppure integri con qualunque altro praticante di altre discipline. Quì c'è voglia di far vedere a tutti che si è vinta, quella gara.

Vedere un incontro di agonisti professionisti da Joe Luis, a Muhammad Alì, a Floyd Mayweather, inevitabilmente affascina, perché si ammirano la potenza e la destrezza della tecnica, fuori dal comune, nel sistema chiuso del ring. Il pugilato è pura corporalità unita a mente strategica e calcolatrice, finalizzati non a far cessare il conflitto, bensì a cercarlo, scatenarlo e far vedere a tutti chi è il vincitore. E ciò acquista un valore aggiunto quando si pensa ad una motivazione (soprattutto in passato) legata al riscatto dalla povertà o dall'emarginazione (si pensi alla storia di Nino La Rocca, di Jack Johnson, e molti altri, o ai film Million Dollar Baby o The Fighter), analogamente a come accade a molti altri sport, a cui va proprio questo immenso merito: il far capire al mondo che tutti si è fatti della stessa carne e delle stesse ossa, indipendentemente dal colore della pelle o dal portafoglio. E, parlando del pugilato, che ad un bianco esce sangue dal naso se colpito, o va al tappeto con un uppercut, proprio come un nero. Però poi va fatto un passo ancora successivo. Una volta stabilito sul ring che "si è tutti uguali", va educato il corpo e la mente alla prosperità, tra gli individui. La motivazione che spinge molti di quei combattenti su ring e gabbia oggi, quando non legata ad un modo ultimo per far soldi ed uscire dalla povertà come in passato ("la boxe la fai se hai fame" citava A.Baricco in City), è legata piuttosto ad una ricerca di visibilità fine a sé stessa. Assodato che non serve un pubblico per allenarsi o per scoprire se una tecnica sia efficace o meno, il pensiero non è più "devo far capire al mondo che noi neri siamo come i bianchi", né "questa è l'ultima possibilità per salvare la mia famiglia dalla strada". Il pensiero è "voglio che la gente mi veneri, a costo di soffrire".  Volendo cercare nel latino queste sensazioni, si passa dal lucri bonus est odor ex re qualibet ("il guadagno ha buon odore, qualunque ne sia la provenienza"), al contendere omnium oculos ("cercar di ottenere la vista di tutti su di sé"), o un parere sibi laudem ("cercare all'esterno la lode su di sé"). L'associazione organizzatrice di incontri accoglie questo bisogno e ne trae profitto dandoti la possibilità di farti vedere.  E' competizione finalizzata al plauso verso la propria persona. Una via contraria a quella che tende all'idea di guerriero, ed anche non combaciante a quella del Pancrazio nelle antiche olimpiadi greche.  Tengo a sottolineare, ancora una volta, che in ultima analisi è la persona a fare la differenza e non la disciplina.  Un incontro organizzato dalla UFC non serve assolutamente a forgiare l'animo di un guerriero, ma al contempo non è la pratica di una disciplina nata in origine per essere finalizzata alla comprensione del BUDO (o della corrispondente fortitudo in occidente), che rende automaticamente una persona più vicina all'idea del guerriero. Esistono atleti che si allenano nel pugilato senza mai salire su un ring ripreso da telecamere; esistono atleti che gareggiano nel Judo moderno, il quale è completamente diverso dal Judo Kodokan originale ideato da J.Kano che, come accennato, era contro l'agonismo;  esiste Steven Seagal che è 7th dan di Aikido ed è stato accusato di vari reati tra cui violenze sessuali e sfruttamento (povero M.Ueshiba!). Non è un guerriero lui tanto quanto non lo è un combattente che entra in una gabbia per un premio (soldi e/o successo, attraverso lo sponsor). Sono atleti.

 

Personalmente mi auguro che in futuro si diffondano metodi di allenamento sani, venga fatto quel "passo oltre", una rivoluzione nelle arti marziali iniziata da persone come Kano e Ueshiba, si riscoprano le reali coordinate marziali di ciascuna disciplina senza così cadere nell'oblio della rincorsa al successo al costo della salute, nutrito da associazioni lucrative che spacciano uno scenografico agonismo di consumo come una forma di "budo" e come un ideale per giovanissimi un po' insicuri. Che la stessa società consumistica e competitiva cambi pian piano in meglio anche grazie alle arti marziali. Riscoprire la via del guerriero, abbandonando quella dello sponsor.

 

DHB - 04/2015

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La natura dell'uomo

26.02.2015 22:42

Nella quotidianità le piccole prepotenze non possono che essere concettualizzate e risolte in modo migliore che del semplice lasciar correre.  Un saggio maestro mi ha detto che cercare un dialogo con stolti e prepotenti è come cercarlo con le bestie: "il tentativo di dare qualsiasi buon consiglio a questi sciocchi non fa altro che farli imbestialire ulteriormente".  Alle volte tuttavia, giungo alla conclusione che l’essere “umani” sia proprio sinonimo di essere distruttivi, prepotenti, impauriti, malvagi, ed in questi casi mi sento molto più vicino al “regno animale”, quello delle bestie, che agli uomini.  Loro, alcune cose, non hanno neanche bisogno di comunicarle vocalmente. Gli altri mammiferi, soprattutto se appartenenti ad una stessa specie, competono esclusivamente quando vi è limitazione d’una risorsa che serve ad entrambi: acqua, cibo, territorio, possibilità di accoppiamento.  In particolare spesso la competizione si svolge sul piano visivo ("nelle forme più elevate di vita animale, si è avuta una forte tendenza verso il combattimento trasformato in rito" cit. Morris), e solo quando strettamente necessario, anche su quello fisico.  Ancora, quando essa si svolge sul piano fisico poche volte finisce con la morte di una delle due parti, dato che esistono codici chiarissimi coi quali la parte sconfitta ammette la sua perdita e convince il vincitore a non vessare ulteriormente verso di lui. Desmond Morris, zoologo ed etologo, autore del best seller La scimmia nuda, nel suo libro spiega molto bene questo processo.  Sostanzialmente, nel momento in cui due individui competono, indipendentemente che si tratti di semplici minacce o di scontro fisico, quando una delle due parti sa d’aver perso esegue gesti inequivocabili che rimandino alla mente del vincitore una situazione amichevole o di richiesta d’aiuto (simboli pacificatori) tale per cui egli capisca d’aver vinto e nel suo sistema nervoso autonomo si disattivi il sistema simpatico (dedito all’eccitamento, all’aggressione, all’attacco) e si attivi quello parasimpatico (dedito alla calma ed al risparmio di energie).  Morris fa l’esempio degli scimpanzé (con il 98,6% del DNA in comune all’uomo) che, in situazioni simili, mostrano debolmente la mano aperta all’avversario (similmente alla nostra preghiera o supplica, o al semplice dar la mano), in segno di sconfitta (molti altri atteggiamenti simili, analogamente adottati, sono tipici dei cuccioli, tali per cui in lui addirittura si attivi l’istinto genitoriale, così che non continui a far del male come non lo farebbe ad un cucciolo della sua stessa specie).   La lotta per la sopravvivenza, ovvero la predazione, è un concetto completamente diverso che non va assolutamente confuso con la competizione tra due individui della stessa specie per aggiudicarsi una risorsa che sia, in quel momento, in quantità limitata. Ovvero, se c’è un intero lago da cui potersi abbeverare, o se c’è abbastanza spazio e risorse per tutti, due simili non competono, se non sporadicamente per rimpiazzare il capobranco, nelle socità che ne prevedano. Ma di base, soprattutto se si tratta di animali da branco appunto quale è l’essere umano, non si compete tra simili ma ci si aiuta, perché è per questo che l'evoluzione ha portato alla formazione dei branchi. Detto ciò, è evidente che nella maggior parte dei casi gli altri animali si comportino in una maniera molto più “umana” di quanto faccia l’uomo, se con “umano” s’intende un atteggiamento volto alla pace o all’equilibrio senza eccessi né violenza gratuita. Non esiste mammifero che faccia violenza fino alla demolizione, soprattutto su su un proprio simile, senza motivi reali.  Per quanto detto, in natura non si avrebbe mai assistito ad esemplari chiuderne altri in gabbie e dargli fuoco, mozzare teste di individui legati e in ginocchio, usar strumenti di tortura, gettare bombe su territori con donne e bambini, pestare altri animali e squarciarne vivi la pelle, costringere qualcuno dalla nascita alla morte a vivere in pochi centimetri quadri, picchiare cuccioli della propria specie, vessare su individui inermi senza che siano per noi un pericolo, gettar cemento laddove cresceva un albero da frutto. Aprendo una parentesi proprio riguardo l’importanza della vegetazione per l’uomo (oltre che, banalmente, per essere alla base di ogni catena trofica e sorgente d’ossigeno), il processo di speciazione dell’essere umano è iniziato quando, nella seconda metà del Miocene (circa 6-7 Milioni di anni fa), a causa del movimento divergente di Placca Africana e Placca Araba, si formarono le fosse tettoniche della Rift Valley (Africa), e le foreste tropicali, che prima occupavano tutta la zona, ad est di tale formazione andarono mutando in savana, costringendo alcune popolazioni di scimmie che prima vivevano sugli alberi ed avevano dieta frugivora, a compiere un Adaptation Tracking, ovvero ad adattarsi al nuovo ambiente, sviluppando locomozione bipede e una dieta onnivora. Qualunque albero da frutto o germoglio era però per loro una fonte preziosissima di vita, che preferivano di gran lunga all’attività di caccia, molto più complessa e pericolosa soprattutto per l’uomo, che anatomicamente era sempre rimasto più frugivoro che carnivoro (lo dimostrano il tipo di denti, unghie, intestino ecc).  Tutto ciò ci fa comprendere come sia innaturale il rendere sterile il territorio in cui si vive. Come sono innaturali tutti quegli atteggiamenti accennati. Per questo la “malvagità” propriamente detta è una creazione umana, che si discosta dagli equilibri omeostatici che avvengono in natura, dalla predazione e dalla competizione nella stessa specie. Sembra come se l'uomo si sia dimenticato quei codici che per decine di milioni di anni son stati scritti nel suo stesso dna, e che sul piano dell'immaginazione abbia creato un mondo fantoccio che lo ha portato ad alienarsi dal suo stesso essere parte integrante del Sistema Terra, della Natura, rendendo la sua società la più fallimentare e parassita del regno animale, perché non mirata alla sopravvivenza della specie, bensì all'arricchimento sfrenato, inutile e nevrotico del singolo individuo o del piccolo gruppo di individui, ed alla colmazione di paure e bisogni immaginari che solo lui è stato capace di creare (e che sfociano poi nelle religioni che sono state causa o pretesto del maggior numero di omicidi di sempre). Quindi il mio obiettivo è quello di non essere un essere umano semplicemente in quanto tale.  Ma di tornare ad essere un uomo in quanto animale (riequilibrare reali bisogni, spazi, eliminare paure e sofferenze immaginarie) e di lì evolvermi psicologicamente verso livelli di consapevolezza maggiori. Perché la stessa corteccia cerebrale ha il potenziale di generare paura e malvagità tanto quanto arte, pace, prosperità.  Esistono varie vie per farlo, la scienza, la ricerca, la compassione. E volendo introdurre la filosofia marziale in questo contesto, anche il BUDO (la via per la cessazione dei conflitti) di Kano, Ueshiba, Hatsumi, è proprio su questo che si basa: tornare ad usare le proprie energie fisiche e mentali per la difesa della vita e della specie, cessare i conflitti, ripudiarli quando possibile, e non alimentarli in alcun contesto della vita.

Dario Hermes Bellino - 26/02/2015

 

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La psicologia della difesa personale

31.01.2015 12:14

Come largamente discusso nell'introduzione, esistono fondamentalmente 3 tipologie di arti marziali:  da difesa personale (es: taijutsu, aikido, qinna, wing chun, krav maga, kobudo, okinawa-te..); da competizione (es: boxe, kick boxing, grappling moderno, karate sportivo..); da culto del QI  (es: gli stili interni Nèijiā Kung Fu).  Le prime due in particolare differiscono dal rapporto che si instaura tra le due (o più) persone: quello di aggressore-aggredito nelle prime, e quello di aggressore-aggressore nel secondo (accettare una sfida anche quando se ne potrebbe fare a meno, rende aggressori a propria volta).


Concentrandoci sulla prima tipologia, è possibile tracciare uno schema di come dovrebbe svolgersi la difesa personale, secondo gli insegnamenti di varie discipline marziali. Prima di tutto, partire dal presupposto (affatto non banale) che si deve cercare in qualunque circostanza di non far avvenire uno scontro, perché la vittoria suprema, il miglior risultato possibile, è quello di far cessare il conflitto prima ancora che inizi a svolgersi sul piano fisico. Questo viene insegnato dall'arte della guerra di SunTzu, dai primissimi precetti dello Shaolin, dall'approccio di Ueshiba, ovvero dell'Aikido e del Taijutsu in generale. Difronte ad una provocazione, non accettarla. Fa finta di nulla od al più allontanati.

 

Nel caso in cui l'aggressore impedisca vie di fuga, o nel momento in cui si stia osservando un grave sopruso (ad esempio verso donne, bambini o animali), l'obiettivo è quello di far cessare il conflitto nel minor tempo possibile, inizialmente cercando un'arma di fortuna (meglio se contundente, cioè in grado di infliggere lesioni per contusione, e non per taglio o perforazione): mai sottovalutare l'avversario o la possibilità che egli abbia un'arma a sua volta.  Questo insegna il kobudo di okinawa (in cui si usavano attrezzi di uso agricolo o domestico come armi per difendersi da aggressioni ed invasioni), ma anche l'aikido ed altre discipline, che di fatto insegnano l'uso di Bo (bastone lungo 2m) / Jo (1,5m) / Hanbo (1m) / Yawara (15cm), e così via.

 

Nel caso non si riesca in pochi secondi a trovare un'arma di fortuna o nel caso l'aggressore ci afferri o si lanci verso di noi, l'obiettivo rimane identico: tentare nel minor tempo possibile di aprire a sè stessi o ad altri una via di fuga. Questo vuol dire che non si sta gareggiando per un titolo, non ci sono regole o limitazioni, perché nella lotta per la sopravvivenza tutto è "biologicamente lecito", ed il cervello per questo motivo dev'essere allenato all'identificazione di un qualunque punto vulnerabile nel corpo dell'avversario, da raggiungere con qualunque mezzo a disposizione.

 

Proprio da questo punto di vista, alcune discipline da competizione sono limitate nella ricerca istantanea, nel momento della colluttazione, di ciò che realmente possa servire e bastare a bloccare l'aggressore e/o ad aprirsi una via di fuga.  In particolare, cercando di non arrecar morte o danni troppo seri all'altra persona, poiché nonostante nella difesa personale si lotti per la sopravvivenza, l'obiettivo è divincolarsi e far cessare il conflitto, non distruggere. Del resto, distruggendo si incorre a propria volta (e in Italia, purtroppo, forse solo a propria volta) in guai giudiziari. Ma prima di questa, c'è la motivazione più importante che la vita non va spezzata. Può esser meno pericoloso un colpo ai genitali (proibito nelle gare) rispetto ad un pugno a mano nuda in alcune zone della testa (bersagli concessi in gara, ma con guantoni). Quindi bisogna equilibrare questi schemi mentali.. l'individuazione istintiva di bersagli vulnerabili e la consapevolezza dei possibili danni che si potrebbero arrecare, il tutto mantenendo l'autocontrollo.  Questa ricerca, e soprattutto dei metodi di allenamento che facciano raggiungere tali risultati, è molto complesso trovarli 'sul mercato', eppure uno studio simile renderebbe un'arte marziale perfetta, in un contesto sociale.

 

Se si studiasse bene tutte le parti del corpo che possono essere colpite o afferrate, ci si renderebbe conto che:  1. esistono molti più bersagli rispetto alla semplice testa che comunemente e sistematicamente in una situazione di pericolo viene assunta, dai non specialisti in materia, quasi ad unico obiettivo e colpibile quasi esclusivamente con pugni (la maggior parte delle arti marziali superano questo paletto mentale)  2. anche a voler nevroticamente gareggiare, non è possibile farlo per davvero nell'accezione di vedere 'chi è più forte' in assoluto (cioè chi avrebbe 'vinto' in realtà), ma solo 'chi è più bravo' a lottare rispettando quelle determinate regole (..così si capisce anche il perché, ad esempio, la famiglia Gracie del pur ricercato e bellissimo Brazilian Jiu Jitsu, vinceva sempre alle prime edizioni di UFC: a parer mio, se ci fosse stato un bravo combattente di Muay Boran ed avesse potuto colpire ciò che volesse e come lo volesse, forse le cose sarebbero andate diversamente).

 

In generale le arti marziali da competizione si dividono nella maggior parte tra quelle che focalizzano tutto sul 'punteggio' in gare light-contact, e quelle che focalizzano tutto alla 'distruzione' in gare full contact, ma un po' ipocritamente, c'è da dire, solo verso determinati bersagli. Mi spiego meglio: riempire di pugni o gomitate in faccia e testa una persona a terra, può ucciderla in breve tempo, così come riempire di calci i genitali. Ma la prima opzione è spacciata per "cavalleresca" e "leale" rispetto alla seconda, e questo non ha alcun senso! Ed a fare ragionamenti simili sono per di più proprio lottatori da gabbia che, nella stragrande maggioranza dei casi, una volta ad esempio nella cosìdetta back mount position, non si limitano minimamente a colpire la nuca dell'opponente se non fermati dall'arbitro (il che, di "cavalleresco", ha ben poco). In più ci sono fin troppi competitori da gabbia che si riempiono la bocca di paroloni presi da filosofie orientali senza conoscerne il significato. Il competere per titolo, soldi o successo, esula nella maniera più assoluta da qualunque associazione a Budo, Ninpo, Bushido, Buddhismo, Confucianesimo, Shintoismo, Mikkyo, Taoismo, o altra filosofia orientale che sia.  Parallelamente, sia chiaro, anche moltissimi dojo 'tradizionali', si riempiono la bocca di grandi parole o attestati, e nei fatti vendono solo tecniche in cambio di molto denaro, senza allenare anche la mente e lo spirito. Bisogna allora sviluppare un proprio senso critico, ricercare personalmente la via. E' ciò che, nel mio piccolo, sto facendo in questi anni. Non sono un maestro, ma volendolo diventare in futuro, mi rendo conto che di modelli a 360° che si allontanino dalle tipiche superficialità, commercializzazioni e macismi, non ce ne sono molti in giro. E, riflettendoci, forse proprio tutti quei caratteri sono così tanto diffusi perché molta gente ha sposato ad occhi chiusi, a 360° , modelli (o interpretazioni personali) sbagliati.

 

Tutto ciò serve a sottolineare che per assorbire una valida psicologia di difesa personale è necessario sgomberare la mente da qualunque tipo di condizionamento dato da idee di competizione, di vincita e perdita, di lealtà o disonestà come ce la danno ad intendere, e rimpiazzare il tutto con pochi e fondamentali concetti e moti d'animo, smussati anche in risposta al contesto sociale in cui si vive (purtroppo):  se possibile, evitare lo scontro; se necessario, munirsi di un'arma di fortuna contundente; se in trappola, difendersi colpendo duramente ma (se possibile) quanto più consapevolmente possibile.

 

Probabilmente, quando uno poi si trova nella situazione, non sta più ad agire pensando a questo o a quello. Parte con pugni e calci e come va e va. E (ne ho avuta esperienza diretta), agisce d'istinto non pensando che dall'altra parte il provocatore possa essere armato o possa essere effettivamente un tipo che, quel calcio o quel pugno, te li para e ti mena. Ecco perché ci si dovrebbe allenare, in questo senso. Per mantenere sempre il focus su se stessi ed agire ragionando fulminemente, esistono varie vie. La meditazione, la PNL, l'esercitazione sotto contesti di stress, l'utilizzo di protezioni efficaci da parte di tori (l'attaccante) che, gradualmente, deve sempre meno assecondare uke (l'attaccato). Il coraggio non dovrebbe mai fondersi con l'eroismo cieco. Per quanto uno, al vedere una donna in procinto d'esser stuprata, possa aver l'istinto di agire senza pensarci fiondandosi alla cieca, DEVE pensarci.. perché quel paio di secondi in più può cambiare tutto! Non hai idea di chi sia né che armi o oggetti vicino a sé abbia quell'uomo. Per non finire anche tu "stuprato", ragiona almeno un paio di secondi e poi agisci.

 

Generalmente (per lo meno nella zona in cui io vivo) possono avvenire i seguenti tipi di aggressione ad un comune cittadino:  rapina a mano armata (dai soldi e cellulare, e pace); aggressione da un gruppo di ubriachi (vattene, o  se alle strette rompi quanto più puoi, perché da ubriachi quelli il dolore non lo sentono);  aggressione da un drogato in cerca di soldi (dai soldi e cellulare, e stai ancor più attento rispetto a quello della rapina a mano armata, perché da un drogato, ci si può aspettar di tutto);  aggressione per bullismo (non accettare assolutamente provocazioni; i bulli fanno tutto in branco, e per quanto bodybuilding o wingchun tu abbia fatto, non sei IpMan né BruceLee; se trovi un'arma di fortuna usala, perché loro non ci penserebbero due volte ad usarla);  aggressione per stupro (ragiona prima di agire, perché la gente -anche purtroppo a neanche 2km da casa mia- ci è morta per questo).

 

Viviamo in una società malata, e non tanto per l'esistenza di queste violenze, quanto perché la giustizia che dovrebbe combatterle non funziona, e 'se te la fai da solo', a te comune cittadino, ti punisce sia lo stato che i parenti mafiosi del tuo aggressore*.  A maggior ragione, sottolineo ancora, quì come da nessun'altra parte, meglio evitare, e se alle strette meglio cercare solo di crearsi una via di fuga.

 

a tal proposito, andrebbe fatto un lungo discorso riguardo la sensibilizzazione di se stessi e gli altri all'aiuto reciproco ed ad una società migliore:  se tutti corressero all'aiuto di tutti, si risolverebbero in pochi minuti moltissime delle violenze che avvengono nel nostro paese. Ancora, se si votasse consapevolmente, se ci si attivasse individualmente, si cacciassero i criminali che sono dentro le istituzioni e quelli che coi criminali scendono a patti, se si contribuisse alla creazione di una società in cui tutti hanno la possibilità di vivere dignitosamente senza eccessi nè bisogno di delinquere, probabilmente andrebbe tutto molto meglio, ed anche questa, in fin dei conti, è psicologia di difesa personale.

 

 

Io (non) sono con Charlie

16.01.2015 10:38

Io sono e non sono con Charlie.

Questa prima precisazione è fondamentale.  Affermare di "essere Charlie" (e non, al più, "con Charlie") è un male.  Identificarsi a pieno con un simbolo o una ideologia porta inevitabilmente al fanatismo, che è la stessa origine delle violenze più grandi della storia.  Può esser giusto sbandierare il proprio dissenso verso una qualsivoglia violenza, oppure difendere a spada tratta un Rubin Carter, o un bambino d'Africa, o una qualunque persona che non abbia mai fatto nulla per scatenare un'ingiustizia verso di lei.

Ma bisogna prendere la situazione di Charlie con realismo. Senza schierarsi ciecamente quanto superficialmente, né cadere nel fanatismo.

 

Io sono con Charlie, nel momento in cui diviene vittima di un attacco terroristico, perché uccidere in risposta ad un'offesa verbale o scritta, non ha senso e non è naturale.

Io non sono con Charlie (neanche con "gli altri", chiaro), nel momento in cui cerca d'esser primo nell'increscere verso qualunque tipo di pensiero o credo, passando dalla satira all'ingiuria, all'affronto aperto, all'offesa piuttosto che allo spunto di riflessione.
 

"Satira", suggerisce la lingua italiana, sta per "rappresentare con arguzia e amarezza passioni e pregiudizi, stoltezze e vizi degli uomini".
"Ingiuria" sta invece per "ogni fatto detto o scritto dolosamente a spregio altrui, ovvero diretto a menomare o togliere il buon nome".
Rappresentare padre, figlio e spirito santo cristiani che si inculano a vicenda.. boh, è banalmente offensivo. Non verso la religione, che di fatto sostanzialmente non esiste, non ha senso pensare che la religione "se la prenda", ma verso tutti quelli che hanno assunto dentro di loro, come modello di genitore, il dio in essa ideato (in questo caso dai cristiani). Cioè: far satira è difficile, ad ingiuriare son buoni tutti. Non sono cristiano né islamico, non mi toccano satire né ingiurie, in sé per sé, ma mi rendo conto che per alcune persone un dio rappresenta realmente una figura di riferimento, come un genitore. E' come stare in una stanza e gridare "tutte le vostre mamme sono delle gran puttane!": c'è chi pensa che sei solo un fesso, chi prova sgradevolezza, e il mafioso italiano che esce la pistola e ti uccide, e poi ti frega pure il portafoglio. Laici e buddisti sono quelli che generalmente se ne fregano, cristiani e musulmani sono quelli che se la prendono e magari ti danno un pugno in faccia (cit.), e gli estremisti (di QUALUNQUE religione o ideologia) sono quelli che ti sparano, anche come scusa per altri fini
Niente più, niente meno. 

E' realismo.

(NB: com'è che generalmente non esistono satire nè ingiurie sul buddhismo?)

 

Respirare al tramonto

29.12.2014 20:36

E' quando il sole raggiunge il confine tra cielo e terra, che il rosso del suo ardere rende calda la natura, le sensazioni rallentano, il tempo è fermo. Qualunque immagine passa e va via, il sole è l'unico motivo per cui si è vivi. E' quello il senso della vita. Respirare al tramonto.

Evoluzione psicologica, ovvero sessuale

01.08.2014 12:43

L'evoluzione psicologica è un processo che si spiega nell'arco di tutta la vita di un individuo, con oscillazioni massime durante il periodo adolescenziale o, banalmente, in corrispondenza di eventi forti e caratterizzanti che provochino un cambiamento improvviso nella routinne della persona. E' possibile calcolare l'andamento di fondo di tale evoluzione, a parer mio, in base ad alcuni parametri che riflettano la qualità della propria vita in relazione al resto della società umana, quali ad esempio:

- autocentramento ed indipendenza affettiva:  gelosia eccessiva, ingenuità da innamoramenti immaturi, sintomatologia da "scimmietta ballerina", bisogno di dedizione unica ed assoluta da parte di altre persone, ma anche parallelamente l'estremo bisogno di un dio, surrogato di un genitore o di un partner, sono tutti indicatori di uno scarso livello di messa a fuoco sul proprio io e sulle proprie potenzialità.  Quanta più compagnia ci si sa tenere da soli, tanto meno bisogno di partner e religioni si subisce da sè stessi.  Non esiste, come del resto per qualunque altro parametro, un interruttore on/off riguardo questi elementi, ma un graduale ed oscillatorio andamento in positivo o in negativo che soffre degli eccessi e che non può che esser percepito e controllato solo dal singolo per sè stesso.
- successo nelle relazioni con l'altro sesso:  l'essere umano, in quanto primate, è programmato come gli altri animali anche e soprattutto ad accoppiarsi e a portare avanti la specie, per tanto nelle condizioni in cui sia fisiologicamente pronto a questo, trova soddisfazione nel successo, e sbaraglio nel caso contrario, nei rapporti con l'altro sesso.  Indipendentemente dalle sue inclinazioni culturali, sociali, pedagogiche, un uomo che ha successo con le donne (od il contrario), è un uomo (o una donna) più felice.  L'assenza di sesso nella vita dell'individuo porta alla diffusa acidità comportamentale, fino ad arrivare  a disturbi psicologici e psicosomatici di lieve o grave entità.  Nel caso in cui sia impossibilitato fisicamente al sesso, l'essere umano ha comunque fortunatamente, a differenza degli altri animali, un cervello tale da coltivare scienza, arte, e l'amore universale, che ugualmente possono portare ad una vita felice.  Ma di base, il sesso in una persona fisicamente pronta a farlo, è di fondamentale importanza.  La sua mancanza in persone di venti, trent'anni, anche prestanti fisicamente, va spesso incontro a scusanti patetiche come "le donne sono tutti uguali, zoccole e sceme" o "gli uomini sono tutti uguali, arrapati e stupidi".  A dirlo sono ragazzi o ragazze con scarso successo sessuale che, piuttosto di domandarsi dove hanno sbagliato e migliorare le proprie danze di corteggiamento, danno  la colpa del loro insuccesso all'altro sesso.

- capacità di ascolto e di confronto:  talvolta incontro nel mio cammino persone capaci di ascoltare e confrontarsi con serenità e divertimento, e sono di fatto le persone con cui è più rilassante parlare di un qualunque tema, dalla politica, alla musica, alle relazioni, alle passioni individuali.  Altre volte s'incontrano invece i pessimi ascoltatori che a parer mio si dividono in due tipologie fondamentali: i prolissi e i prevenuti.  Interrompere continuamente i periodi dell'altra persona, intervenire in discussioni altrui senza venir previamente interpellati, o ricorrere ad un'infantile e disfacente spocchia da marchese del grillo (quello del "perchè io so io, e voi non siete un cazzo"), o ancora rispondere con giudizi seri, gravi, o altezzosi, a battute da dialogo scenico di stampo umoristico, sono anch'essi indice di scarsissime capacità relazionali che rendono una persona sgradevole. Il saper ascoltare e il saper essere flessibili nel confronto, sono passi fondamentali nella propria evoluzione comportamentale. La spocchia al contrario è sintomo di un pessimismo sistematico e di un bisogno infantile di attenzioni, attraverso l'idea che si vuol trasmettere agli altri che le proprie posizioni 'alternative' ed il proprio disfattismo verso una qualunque idea altrui facciano molto 'figo'.  Per quel che ho potuto notare, ciò rientra sistematicamente nella su citata acidità comportamentale, dovuta probabilmente alla mancanza di sesso, o ad una serie di devianze, o a personalità tendenti al borderline, o molto più semplicemente a insicurezze e paure generalizzate, spesso legate anche a radicati elementi di morale cattolica.

- il controllo sulla propria mente:  il parametro più complesso e corposo di tutti è il controllo dei propri pensieri.  Il suo raggiungimento corrisponde nelle filosofie orientali fondamentalmente allo stato di illuminazione, e vi sono pratiche che vanno dallo Yoga allo Zen nate proprio a questo scopo.   Una persona che raggiunge lo stato di Fudoshin (cuore inamovibile), ha la piena consapevolezza di sè e del mondo che lo circonda, riesce a concettualizzare pacificamente la mutabilità e l'effimerezza della realtà, della natura, delle emozioni, prima tra tutte la sofferenza.  Questo è il fondamento dell'insegnamento originale yogico e buddhista, ed è probabilmente il più alto livello a cui una persona possa tendere nella sua evoluzione psicologica e comportamentale.   Se è impossibile permanere in questo stato mentale a patto che non si sia monaci eremiti, pur vero è che l'aspirare ad esso produce immediatamente un senso di benessere e migliora senza dubbio i rapporti con le altre persone.

Prima contestualizzazione necessaria è che, proprio in nome della caduca transitorietà delle emozioni, il cammino della mente umana verso livelli più alti di evoluzione ed equilibrio, non è esule da oscillazioni anche in negativo, ma in generale è fondamentale tendere verso un trend positivo, verificabile non nel momento presente, soggetto alle emozioni presenti, bensì nel pensiero di come sia cambiata nel tempo la qualità dei propri rapporti e del proprio autocentramento.  Seconda contestualizzazione importante, è che si dovrebbe passare dall'alterigia all'alterezza, e riconoscere anche negli altri quale delle due è presente nel corso di un dialogo o di un confronto.   Per fare qualche esempio, chi corteggia una donna o si eleva su un piedistallo tra conoscenti a tavola, non mostrando le proprie qualità bensì cercando di far sembrare inferiori quelle di altri possibili pretendenti o adulati, mostra alterigia.  Chi deve sempre e puntualmente dimostrare che ne sa qualcosa in più su qualunque argomento, e banalizza quelli in cui non è preparato, mostra alterigia.  Chi parla dell'età del personaggio presente nell'ode  "A Luigia Pallavicini caduta da cavallo" come fosse un'informazione vitale senza la quale sei un ignavo, mostra alterigia.  Chi corteggia una donna senza parlar d'altri all'infuori di lei e di sè stessi, e mette in campo le proprie danze con fierezza e sicurezza, mostra alterezza.  L'alterigia e l'alterezza sono assai simili eppur si muovono su binari completamente opposti: la prima si nutre d'insicurezza e della paura nevrotica che i presenti possano pensar d'altri più sommamente che rispetto alla propra persona;  l'alterezza è la "sicurezza nelle proprie potenzialità comunque vada", è lo specchio del livello di stima verso sè stessi e la persona a cui si mostrano le proprie qualità ed anche i propri difetti.  Il parametro fondamentale per percepire quanto la propria vita ci dona e quanto potrebbe ancor più donarci, è quindi uno:  la stima verso noi stessi, ovvero la felicità.  Stimare se stessi è il primo passo per poter stimare gli altri, per poter aver successo con l'altro sesso, per poter godere dei momenti che si vivono.  Siano questi lo star soli a consumare il proprio pasto, od il ballare con mille altri esseri umani in un unica sala, od il respirare assieme al resto della natura in una foresta.

I combattimenti in gabbia

07.07.2014 00:12

                

Ho sempre visto  buon'occhio alcune gare di arti marziali, dal Judo al BJJ, per quanto sia personalmente contrario ai giri di soldi dietro queste manifestazioni, un problema che in ogni caso colpisce ogni angolo di questo mondo, dalle arti più tradizionali alle più sportive. In più, osservo con scetticismo alcune cose che talvolta avvengono su un tatami da gara, come proiezioni acrobatiche facendo perno sulla propria testa a terra, che in un contesto reale sarebbero non solo inefficaci, ma anche controproducenti.  Ma lo sport è sport, e nonostante il Judo di Jikoro Kano non sia assolutamente quello competitivo da gara, fa bene muoversi un po': l'importante è distinguere, quando necessario, lo sport dall'arte marziale.  Su una cosa piuttosto sono invece sempre stato contrario: gli incontri su ring e gabbie di MMA, UFC, K1, Valetudo, Pugilato, con pubblico e telecamere, che nonostante la loro 'spettacolarità' non rispecchiano, anche in questo caso se pur per motivi diversi, lo spirito e l'obiettivo più veri, ed utili alla propria evoluzione, del Budo.  Perché praticarli?  O meglio, perché praticarli in una gabbia con pubblico e telecamere, come si fosse polli?  Per soldi, per fama, perché 'piace', per dimostrare al mondo che si è dei duri, perché 'solo così diventi un vero guerriero'?  C'è bisogno di telecamere, pubblico, soldi, per diventare un 'vero guerriero'?  E' un po' una perversione, quella di godere nel far schizzare sangue ad altri mentre schizza il proprio, un po' infantile il bisogno il prendersi il viagra della vittoria applaudita dal pubblico.  La competizione tra due individui della stessa specie o di specie diverse, in natura, secondo la biologia, si instaura nel momento in cui esiste una limitazione quantitativa in una risorsa usata da entrambi gli esemplari: cibo, acqua, territorio, possibilità di accoppiamento.   L'uomo, è anch'esso un animale (psicotico chi dica il contrario), ma dopo milioni di anni di evoluzione, lungo i quali ha combattuto contro i suoi simili solo quando fosse strettamente necessario, ora sembra lo faccia per il semplice gusto di farlo, o per motivazioni fondamentalmente nevrotiche.  Il che non è naturale, deriva da cause psicologiche, bisogni moderni legati alla ricerca di modelli da adottare per sentirsi più sicuri e vincenti, in una società dell'homo homini lupus in cui si nasce e si cresce in un clima di continua "competizione umana", normale dacché diffusa, ma non naturale.  Si parla (solo nei numeri ufficiali) di oltre 500 morti nel mondo del pugilato "televisivo" in un solo secolo, una decina di morti nel mondo delle MMA in vent'anni, e innumerevoli, infinite, gravi lesioni e patologie legate a questi incontri (ematomi subdurali del cervello, rottura di ossa e legamenti, morbo di Parkinson, lesioni di fegato e reni, distacco della retina, ed altri).  Ma se le arti marziali sono nate per preservare la propria e l'altrui incolumità, perché picchiarsi talvolta fino alla morte e soprattutto perché farlo per una medaglia e per intrattenere un pubblico?  

Per "sperimentare" se le proprie tecniche funzionino in situazioni reali, esistono altri tipi di allenamenti adatti progressivi (pur se purtroppo poco diffusi).  Bisogna certo allenarsi a situazioni reali, ma con determinati moti d'animo e determinate precauzioni.  Ricevere un pugno in faccia serve a capire dove si è sbagliato, ma lo si sente benissimo anche dietro un caschetto da allenamento, rendendosi conto che, senza di quello, esso avrebbe potuto creare seri danni.  Non c'è poi alcun bisogno di rendere appositamente vera la situazione.  Non è scientificamente fondata l'idea che più colpi si prendono e più si diventa immuni e ci si fa la "pellaccia".  Più colpi si prendono realmente è più danni si ottengono, sia a livello fisico che psicologico che relazionale che sociale.  La cronaca ha parlato, e parla tutt'ora, di centinaia di aggressioni per strada da ex pugili e simili:  esempio1  esempio2  esempio3  esempio4  esempio5  esempio6   esempo7   ecc, e praticamente mai di aggressioni da praticanti di arti marziali tradizionali. Generalmente ci si iscrive ad una palestra di arti marziali o sport da combattimento per la voglia di sapersi difendere, sotto il tacito influsso anche di una voglia di saperle "dare". Un'arte marziale tradizionale accoglie questi moti d'animo ed insegna ad avere cura della vita, della salute, propria e altrui, insegna l'autocontrollo e tecniche per cessare il conflitto;  uno sport da combattimento mirato a feroci incontri su ring o gabbia accoglie invece i moti d'animo iniziali incanalando la rabbia e la ferocia verso allenamenti che si nutrono della stessa.   Il più grande e completo contenitore di cultura fisica, mentale e marziale, lo SHAOLIN, culla delle arti marziali tradizionali orientali, prevede, in lettura marginale, incontri tra due avversari sotto forma di Sanda, ma con protezioni adeguate e uno spirito prim forgiato nell'autocontrollo e nell'evoluzione psicologica e spirituale:  "dato che pace e tranquillità sono da preferire alla vittoria, in caso di aggressione è molto semplice la scelta da operare: fuggire immediatamente. Comprendi la realtà della natura e vedrai che nessuna forza umana può colpirti. Non tentare di opporti alla forza affrontandola, evitala. Non c'è bisogno di fermare la forza, è più facile farle cambiare direzione. Impara i metodi per conservare, non quelli per distruggere. Evita piuttosto che bloccare, blocca piuttosto che ferire, ferisci piuttosto che storpiare, storpia piuttosto che uccidere, perché ogni vita è preziosa, ed ogni vita perduta è perduta per sempre".  Le masse sono influenzabili, gli piace osservare ciò che un imperatore o una televisione dicono sia belo osservare, è così da sempre.  E pur se complesso, bisogna riuscire a mettere in discussione la propria realtà.  Mi spiego meglio. Se i video ad inizio post per molti sembrano normali e familiari, in altre parti del mondo normali e familiari sono questi altri video:

                

..che sono un'aberrazione dell'umana evoluzione.  Ma il punto è proprio questo: ad un pubblico medio italiano, se le televisioni iniziassero a farli vedere presentandoli come una cosa bella, nel giro di una decina d'anni anch'essi diverrebbero belli, "di moda".  Come il grande fratello, Barbara d'Urso, la corrida in spagna, o i munera gladiatoria nell'antica Roma:  i primi due friggono i cervelli degli adolescenti, il terzo è una violenza inumana e cretina, gli ultimi (a cui si avvicinano  gli incontri moderni), erano al 90% dei casi dei massacri di schiavi stranieri o di dissidenti il potere centrale (si pensi già solo alla storia di Spartaco).  Il film "Fight Club" non è un elogio all'MMA come molti affermano, ma una forte critica al sistema fantoccio capitalistico e bancario, americano e mondiale, che porta alla follia dell'individuo fino al punto di generare violenza tra poveri.  Stessa critica cioè di "American Beauty" o molti altri film. Tutti noi praticanti di arti marziali di qualunque tipo, rendiamoci conto che una cosa è imparare a difendersi e/o a lottare, un'altro conto è chiudersi in una gabbia e picchiarsi danneggiando sè stessi e gli altri, per far spettacolo come cartoni animati.  Coltiviamo lo  "JITA YUWA KIO EI" (reciproca prosperità) indicataci da Jigoro Kano, il "TATSUJIN" (essere umano completo) indicatoci da T.Takamatsu e M.Hatsumi, perché BUDO  (武道 , dove 武 è composto da 戈 (lancia) e 止 (arrestare/lasciare), e 道 è Tao, Via, Sentiero) è "la via che conduce alla cessazione dei conflitti".  Dobbiamo tendere all'idea di guerriero come esempio di imperturbabilità, lealtà, coraggio, serenità, e non guerrafondai.  Dobbiamo essere la vaccinazione contro la violenza, non la sua propugnazione. Questo è il vero spirito del BUDO.

Antichi metodi di riscaldamento

11.06.2014 17:23

Il riscaldamento consiste nel passaggio graduale dallo stato di staticità allo stato di allenamento, così da "risvegliare" il corpo e prepararlo all'attività fisica. I nostri antenati, privi di tecnologie e circondati da aria pulita, camminavano per km e km ogni giorno, rimanendo così perennemente, in un certo senso, in fase di "riscaldamento".  Negli ultimi secoli e soprattutto negli ultimi decenni, l'attività fisica si è trasformata da una naturale routinne ad un momento di svago.  Proprio per questo, sottoporsi ad un qualunque allenamento dopo esser stati seduti o fermi senza previo risveglio delle fasce muscolari, porta ad infortuni, mal di schiena, dolori articolari. Eseguire il riscaldamento vuol dire innalzare la temperatura dei muscoli di circa 1-2°C, aumentare l'apporto di ossigeno all'intero organismo, sciogliere le articolazioni "oliandole" col liquido sinoviale che si produce automaticamente col lento movimento, rendere più elastici i legamenti attraverso uno stretching non forzato.  Generalmente lo si effettua con esercizi come corsa, corda, step, cyclette, tapis roulant, e così via. Fondamentale è non esagerare con queste attività, ma aumentare gradualmente l'intensità o, se effettuate appunto come semplice warm-up prima di un'arte marziale (specie se tradizionale), limitarsi nell'esecuzione senza sudare troppo. Non è detto infatti che il sudore sia per forza sintomo di un buon riscaldamento.  Un buon riscaldamento è semplicemente quello che riscalda i muscoli, mobilita suavemente le articolazioni, allunga gradualmente i legamenti senza mai arrivare alla soglia del dolore, e senza utilizzare lo stretching di tipo balistico (ad esempio "lanciando" energicamente la gamba lateralmente più volte) bensì quello statico (da fermi, mantenendo ciascuna posizione per circa 20 secondi) o dinamico (attraverso movimenti oscillatori progressivi).

Nel JUNBI UNDO  del  TAIJUTSU  esiste il KEIKOMAE ZENSHIN  (稽古前全身):  massaggiare, picchiettare, frizionare, risvegliando i muscoli e i tessuti molli, così da aumentare la circolazione del sangue, agilitare i muscoli e i vasi sanguigni, regolare il sistema nervoso, attivare una maggiore circolazione del QI.  Da una posizione in piedi o da seduto, colpettare e frizionare tutto il corpo dalla testa ai piedi (mai il contrario).   Questo esercizio è sostanzialmente un'applicazione semplificata al riscaldamento presistemico, del concetto del TuiNa di veicolamento del Qi attraverso i muscoli e i tendini. Il metodo, inserito nel programma di allenamento delle scuole derivate dal Takamatsuden (M.Hatsumi, S.Tanemura, S.K.Hayes, ecc) si ritrova con nomi diversi in altre discipline tradizionali marziali, come nel Taekwondo, in diversi stili di QiGong, e deriva dal PaiSha *  (o PaiDa), una pratica cinese antica più di 1400 anni effettuata in origine con uno strumento fatto di sottile strisce di bambù,  anche inserita nello Shaolin come propedeutica alla Camicia di Ferro, e successivamente riadattata al solo uso delle mani, come avviene appunto nella prima fase di riscaldamento del Taijutsu tradizionale.

   

 

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