In questa sezione segue un elenco di pensieri ed articoli su varie discipline marziali, difesa personale, evoluzione psicologica, relazioni umane, ordinati per data di creazione. Gli interessati alla lettura possono accedere direttamente ad un particolare articolo, oppure seguire la consequenzialità cronologica. E' bene avvertire che alcuni articoli sono "indipendenti", altri possono invece contenere elementi necessari alla comprensione del seguente, o rispondere a domande poste in uno precedente. Lo stesso blog è infatti in continua evoluzione, un ordinamento consequenziale di informazioni e spiegazioni sulle tematiche meno conosciute orbitanti attorno le arti e le filosofie marziali.

Se si riscontra difficoltà nella lettura per la dimensione del carattere e la si vuol aumentare, attraverso la tastiera tenere premuto "ctrl" e nel frattempo dare diversi click a "+" o "-" a seconda di quanto si voglia zoomare o rimpicciolire la visuale.

Non mi resta che augurare a tutti gli appassionati ed ai curiosi, una buona lettura.

Blog

Apparenze e peniafobia

16.05.2014 16:45

I più blaterano di valori cristiani, morali, sociali, nascondendosi dietro autoimmagini infantili e peniafobiche, imparando versi di grandi guru e profeti a memoria, da Gesù ad Osho passando per un qualche Dio in persona, per convincer chi ode che nessuno più di loro ne sa d'altruismo, di comunità, d'un falso eudemonismo fatto di fantasticherie piuttosto che di retta presenza mentale. E poi basta una cravatta a modificare completamente le distanze prossemiche dell'individuo, od un vestito strappato a mettere in pericolo le sicurezze che il singolo ha del proprio status quo fatto di tanti possessi materiali, e di scarsità nell'essenza e nella qualità del proprio senso critico e della propria apertura mentale.  Lì per terra, se si fosse accasciato un Berlusconi, in mille persone sarebbero accorse in suo aiuto, anche non conoscendo il suo passato, il suo pensiero, ma già solo ipotizzando la quantità di denaro nel suo portafoglio.  Se vi si fosse accasciato al contrario un José Mujica, un immenso esempio di guida che un popolo possa avere, nei suoi abiti quotidiani fatti d'una semplice tunica da giardinaggio, non se ne sarebbe accorto nessuno, nessuno avrebbe pensato che la vita e la dignità umana prescindono dalla ricchezza e dall'apparenza materiali. Tutti avrebbero, proprio come è successo in questo video/esperimento, paura della povertà a tal punto da non accorgersi d'una persona sofferente al suolo ma solo di un apparente povero e, come tale, un'inferiore, uno scarto da lasciar morire lì dov'è.  I filtri mentali che in gran parte provengono dalla 'cultura vitale' prima che di quella accademica, nella società moderna sono fatti di ansia, depressione, deliri di onnipotenza, fobie, competitività, classismo, cancellando l'identità dell'uomo in quanto essere vivente e pensante, ed etichettando invece ogni individuo in base a quello che la società capitalistica può attingere materialmente da lui.  Capitali viventi, denaro con braccia e gambe, questo è ciò che la società insegna e che la maggior parte della gente, in situazioni come questa, non smentisce. 

DHB - 2014/05/16

 

Licenza Creative Commons
"Apparenze e peniafobia" diDario Hermes Bellino è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Based on a work at https://dialoghi-sulla-via.webnode.it/news/apparenze-e-peniafobia/.

Il disarmo del coltello

09.02.2014 13:24

Spesso capita che nelle palestre di arti marziali arriva un giorno in cui l'istruttore dice "bene, vediamo come disarmare una persona con un coltello", illustrando qualche tecnica che viene allenata superficialmente e con molta collaborazione tra aggressore e aggredito.  Ciò provoca la reazione di altre scuole di pensiero che vedono in quelle tecniche un'inefficacia tale da essere addirittura controproducente per il praticante, il quale pensa di saper davvero difendersi da un'aggressione con coltello quando invece, dicono giustamente, nella realtà l'impeto e la "professionalità" dell'attacco non lascerebbero spazio a leve, prese, disarmi e quant'altro.  A parer mio, in questa contrapposizione di giudizio, va riconosciuta prima di tutto la variabilità del fenomeno "aggressione armata con coltello", dacché non esiste un unico e universale tipo di aggressione di questo tipo, nè unici ed universali mezzi per contrastarlo. Ho individuato a questo proposito tre fondamentali tipi di aggressore, contro ciascuno dei quali la difesa può essere inefficace, efficace o comunque avere differenze sostanziali al suo interno.

 

CASO 1)  L'attacco di coltello di un assalitore esperto e determinato a uccidere:

   

Una nozione fondamentale è che un assalitore esperto e realmente determinato ad uccidere con un coltello, non lo tira fuori finché non è abbastanza vicino al bersaglio, e se vuole davvero colpire colpisce. In questo caso difendersi è pressocché impossibile. Ma in quali casi si potrebbe venire attaccati da un assalitore del genere, senza che si faccia parte di organizzazioni criminali o delle forze dell'ordine che le combattono?  Banalmente, se ci si ficca in guai particolarmente seri, o meglio che coinvolgano persone pericolose quanto suscettibili: un marito criminale geloso, un ex marine matto tamponato, un maestro di arti marziali filippine a cui gli è stata violentata la moglie. Della serie: se non le si vanno a cercare, non sono fortunatamente molte le possibilità di incorrere in questo tipo di assalitori. E caso mai si faccia parte di una realtà assai difficile, il trasloco in parti più tranquille, volesse dir questo anche, chessò, andare ad abitare in una casa più piccola, sarebbe a mio parere la prevenzione più efficace che si possa fare, in uno "Stato" in cui spesso la lotta alla criminalità è un optional. Sensibilizzazioni, giuste scelte politiche, informazione e così via, vanno certamente a dare una mano in questo senso, ma in questo articolo la mia intenzione è semplicemente quella di analizzare, nel nostro territorio, il fenomeno delle aggressioni con un coltello, molto discusso in qualunque corso di difesa personale, ma spesso purtroppo assai superficialmente. Ad un assalitore esperto e determinato ad uccidere, come se ne possono vedere negli esempi linkati, non ci sono tecniche di difesa a mano nuda che tengano: arriva e colpisce. La fortuna però appunto è che, se non si è criminali nè poliziotti, nè ce le si cerca in ambienti strani, questo tipo di incontri è raro che avvenga. L'obiettivo è infatti quello di uccidere, per assalitori simili, non derubare o altro, ed è raro che senza alcun motivo uno sconosciuto determinato e freddo, con coltello alla mano, venga da voi per il solo scopo di togliervi la vita.

 

CASO 2)  L'attacco di coltello di un assalitore inesperto e determinato a uccidere:

     

Questo tipo di attacco è a mio parere il più frequente: omicidi passionali, porcate antisemite, assalti disperati in gioiellerie, sono tutte situazioni in cui non c'è "professionalità" nel gesto, ma solo uno stato confusionale nella mente dell'aggressore che si nutre soprattutto di un'elemento fondamentale, nel bene e nel male: la paura.  Nel male perché in essa vi è un'impulsività disconnessa dal reale che porta ad eventi drammatici, e nel bene perché proprio questa paura, come è noto nelle arti marziali, rende l'attaccante meno attento, meno veloce, maggiormente prevedibile. Stiamo ancora parlando di situazioni in cui l'assalitore vuole ferire o uccidere, e per questo il tutto non può che svolgersi sul piano fisico. Quì entrano in gioco tutti i tipi di risposta all'aggressione con coltello che le varie arti marziali adottano, proprio perché è da questo punto in poi che si può sperare di concludere l'evento criminoso in maniera positiva applicando tecniche marziali.  Un assalitore esperto e freddo (raro), è pressocché impossibile da fermare, ma un assalitore inesperto e spaventato (molto più comune) potenzialmente può essere contrastato senza troppi sforzi, con maggiore o minore successo in base a tutte le variabili come l'ambiente circostante (un ascensore o una piazza), il proprio stato emotivo (se imperturbato e lucido, o a sua volta spaventato), e così via.  I movimenti dell'aggressore in questo caso si avvicinano molto a quelli stilizzati dei kata della scuola marziale, ma nonostante ciò un allenamento efficace è chiaramente quello in cui si arriva a simulare l'aggressione gradatamente sempre con maggior impeto, così da allenare il più accuratamente possibile i riflessi della difesa a fronte dell'imprevedibilità dell'attacco.   Questa seconda categoria, come mostrano i video, è quella in cui spesso si può vedere troncato l'atto criminoso anche senza che l'aggredito possegga esperienza nelle arti marziali, ma anche in cui la conoscenza di queste potrebbe far aumentare incredibilmente la percentuale di successo della difesa. 

 

CASO 3)  L'attacco di coltello di un assalitore inesperto e non determinato a uccidere:

   

Questo tipo di attacco è quello il cui l'obiettivo non è uccidere nè ferire, bensì derubare, tenere in ostaggio o, tra i casi peggiori, stuprare una donna sotto l'intimidazione della lama.  Nel primo caso inutile dire che, si tratti di una banca o di un portafogli con una 50€ al suo interno, fare gli eroi è assolutamente fuori luogo e rischiare la vita o la salute per cose materiali non ne vale veramente la pena.  Con le lame non si scherza mai qualunque sia la costituzione dell'aggressione, nonostante la maggior parte delle tecniche marziali parta proprio dalla minaccia, più che dall'attacco, della mano armata di coltello.  Ma nel secondo caso, quello che preveda ad esempio l'idea di stupro, le cose sono invece diverse, delicate, e l'azione va fermata dacché non si tratta più di cedere oggetti, ma il proprio corpo o il corpo della persona a noi vicina.  Ecco perché va conosciuta l'essenza della difesa personale, che non vuol dire necessariamente (o non solo) una serie di movimenti del corpo atti alla neutralizzazione dell'aggressione, ma anche e prima di tutto strategie psicologiche, linguistiche, che spianino la strada per una miglior difesa personale.  Ci si metta nel caso di una donna che viene fermata, intimata con una lama a stare in silenzio e messa a terra con intento di stupro.  Con un coltello alla gola, la prima cosa che si pensa è come allontanare da sé fisicamente l'arma, il ché è pericolosissimo perchè nel gioco di forza, l'aggressore trovandosi in una "situazione privilegiata", avrà sicuramente la meglio e per tanto si può anche venire seriamente feriti.  C'è bisogno di un altro metodo, molto più sottile, che è quello chiamato nel Ninpo Taijutsu "KyoJutsu", ovvero l'arte dell'inganno, utilizzata in questa sua variabile per secoli dalle Kunoichi nel Giappone feudale, ed anche a volte comparsa in vari film o sketch cinematografici sia seri che umoristici:  fin gere di accettare la situazione e restare al gioco utilizzando la propria femminilità, per poi subito dopo attaccare lo stupratore in un punto vitale quale può essere la zona inguinale o gli occhi (primi tra tutti), creandosi così una via di fuga.  Mai lo stupratore immaginerebbe di trovare dinanzi a se una donna intrigata dalla situazione, ciò lo disorienta e lo rende contento di potersi rilassare, magari sotto invito anche gettando via il coltello.  La donna lo sa, con i mezzi di seduzione può ottenere ciò che desidera, e in una situazione simile il recitare la parte della "rapita vogliosa" è a mio parere (ed anche a quello dei Ninja) il metodo più efficace per poter capovolgere la situazione e crearsi una via di fuga. Chiaramente serve poi un bagaglio tecnico-concettuale di movimento fisico come ne possono offrire diverse discipline, ma la prima parte, forse la più difficile, è anche la più importante.  Addirittura si potrebbe pensare che la coppia stessa di partner possa mettersi d'accordo sul cosa fare in una situazione di aggressione da parte di due rapinatori / stupratori armati di coltello, con una sorta di KyoJutsu di coppia:  piuttosto che urlare e dimenarsi, fare sorrisi di complicità dicendo che sono, chessò, attori pornografici un po' trasgressivi, facendo evolvere la situazione d'una maniera analoga a quella di prima.  Le strade dell'arte del disorientamento e dell'inganno sono infinite, si può riuscire non ad eliminare l'arma bensì a disorientare la mente che la manovra.   Ricordarsi sempre che lo spirito dell'autodifesa è la sopravvivenza, non compiacere se stessi, altri o capricci morali.

 

TECNICHE DI DISARMO

Ricapitolando, per l'attacco "professionale" di un esperto e freddo aggressore, non c'è tecnica che tenga (tranne che si sia grandi maestri di DianXue come ne esistevano un tempo, ma questa è un'altra storia;  o che si sia velocisti nella corsa), al più solo fortuna.  Per l'attacco "amatoriale" di un aggressore impaurito o furioso, ci sono tecniche che variano da scuola a scuola.  Per la minaccia con altri fini, c'è il KyoJutsu, unito alle tecniche.  Ora vediamo quindi per ogni disciplina quali sono le comuni tecniche di disarmo, utilizzabili (o forse no) nel 2° e nel 3° caso.

Appr occio del Ninjutsu Budo Taijutsu:  esempio1  esempio2   

Approccio del Gracie JiuJitsu (BJJ tradizionale):  esempio1  (dal minuto '10)

Approccio del BJJ moderno:  esempio1    Abbastanza inverosimile.

Approccio del Karate moderno:  esempio1   esempio2   Assolutamente inverosimile.

Ci sono poi discipline come le arti marziali filippine o alcune di stampo militare che enfatizzano la difesa da attacchi di coltello tramite l'attacco di coltello a propria volta, su polsi ed altri punti vulnerabili dell'aggressore, ma ciò evidentemente è applicabile solo in ambito militare per l'appunto, e non in una città in cui è di fatto proibito il trasporto d'armi, ed in una realtà in cui bisogna difendersi da un'aggressione fisica e non uccidere soldati con moventi bellici.   Ancora, esiste il Jeet Kune Do di Bruce Lee, che contro una minaccia con coltello riusciva a calciare il polso dell'aggressore e far volare l'arma, ma ci vuole la velocità e l'impeto di Bruce Lee appunto, non applicabile quindi da chiunque. Della serie: non funziona parare e colpire alla karate sportivo maniera, ma non funziona neanche cercare di imitare Bruce Lee.  In ogni caso, come visto, ci sono tecniche del tutto inappropriate eseguite da cinture nere di chissà quale dan ma dalla stessa grazia ed efficacia di manichini di legno, e ci sono al contrario concetti reali che potrebbero funzionare nel caso non vi sia una via di fuga (via di fuga = dare all'aggressore ciò che vuole a patto che non sia il proprio corpo per botte e/o stupro;  via di fuga = una strada lungo cui scappare e urlare).  Le tecniche migliori sono quelle eseguite con velocità e mirate a colpire occhi, testicoli, laringe e gli altri punti fondamentali della difesa personale, o prima ancora quelle che prevedano leve articolari a gomito e spalla (unite allo squilibrio), e non al polso o alle dita molto più difficilmente afferrabili in questo contesto. 

DHB - 2014-02-09

L'importanza della meditazione e il cuore del Ninpo

28.10.2013 15:37

 

L'importanza della meditazione in

tutte le arti marziali tradizionali

La tecnica non serve quanto la pace incorruttibile. E' per questo che ho deciso di fermarmi nello studio della tecnica marziale per percorrere dapprima un cammino verso un equilibrio che elimini quel senso di competizione che tanto critico e che tuttavia, sotto le coltri d'una visione di me stesso atte quasi a convincermi di alcune leggi, sento ancora mio. Provo un filo di rabbia quando perdo, ed ancor più fierezza quando vinco. Questa è la base della competizione umana, non atta alla sopravvivenza quanto ad un allargamento dell'ego fuori dal proprio sé. Questa è la radice dell'animo che muove guerra, combattendo mille battaglie alla ricerca di un nutrimento sempre maggiore per il proprio ego. Ho praticato fino a questo momento diversi anni tra Karate sportivo e Ninjutsu. In confronto alla media delle persone il mio bagaglio tecnico atto al combattimento è più vasto, e parallelamente assai esiguo rispetto a maestri e praticanti in tutto il mondo. Tuttavia ciò che riesco a comprendere ora è il significato di un concetto che mi espresse anni fa un uomo che aveva passato alcuni anni assieme a dei monaci buddhisti, che all'epoca presi come un dire sentito e riproposto, una massima come se ne odono tante. Ma che ora ho ritrovato dopo tanto nei miei pensieri come negli scritti di alcuni grandi pensatori ed artisti marziali. Se il cuore non è nel giusto luogo, anche la tecnica marziale, le scelte personali, e qualunque altra cosa non rientreranno nell'equilibrio ma andranno a convivere con la nevrosi, se non aggravandola, e l'aggressività del mondo, la sua dipendenza da capi, capitalismo, dogmi, ideologie, che portano al tracollo sempre maggiore dell'umanità e della natura. Sono dell'idea che si deve fare ciò che realmente soddisfa, e non ciò che si vorrebbe lo faccia. Ciò che soddisfa realmente la propria persona, intendo. E quando una persona si sente realmente e consapevolmente soddisfatta? Quando le sue giuste distanze lo portano al cuore irremovibile, tale ch'egli sappia godersi il mondo e le situazioni senza esser legato alle idee di perdita o di vittoria, senza anzi esser legato a null'altro se non a sè stessi ad alle proprie azioni. Questo è l'obiettivo della meditazione buddhista.

 

Dubbi legittimi

Mi sono reso conto che in realtà il Budo Taijutsu che generalmente si pratica si discosta molto dal Ninpo Taijutsu originale da cui esso deriva. Penso ci sia stata una sorta di "educazione" del primo ai linguaggi ed alle aspettative occidentali, e quindi anche un mascheramento di concetti del Ninpo originale che pur se presentati alle masse, non sarebbero affatto state comprese.  Quello che oggi si pratica è Budo, non Ninpo, ed è anche e soprattutto per questo che nell'insegnamento trasmesso non vi sono ad esempio elementi reali di meditazione, oltre qualche sentito dire e gadget di facile consumo. Sono convinto che non solo i gradi kyu nella Bujinkan in realtà non sappiano cosa sia il Ninpo, ma anche la maggior parte dei gradi dan, e persino degli Shihan, che di fatto non insegnano nè praticano forme meditative, altri che ne spacciano alcune vendendole per ingenti somme di denaro, altri ancora che sanno appena cosa sia il Buddhismo, e che quasi creano associazioni di combattimenti in gabbia in stile americano venendo puntualmente ripresi dal povero Hatsumi che a fatica fa a seguirli tutti. Leggendo gli scritti di Hatsumi, di Stephen K.Hayes che ebbe la fortuna di ricevere i suoi insegnamenti per oltre un decennio quand'ancora erano privati, gli scritti su Takamatsu, e ancora gli scritti dell'esperto in Mikkyo (tra i migliori Shihan al mondo) José M.Collado, mi rendo conto che la sola tecnica, anche se lungamente allenata, da sola è un efficace Taijutsu, ma non rispecchia il Ninpo nè quelli che erano i "sentimenti" e le potenzialità vere dei monaci guerrieri delle foreste originali del giappone feudale.  E a parer mio è un errore: si lascia il praticante scoperto su molti aspetti, a tal punto da esser dubbioso della natura degli insegnamenti ricevuti e ritrasmessi. Penso che attualmente vi sia una grande confusione nel mondo delle arti marziali, e che questa confusione non sia da meno nel mondo della Bujinkan. Ciò che mi chiedo a questo punto è: perché Hatsumi ha in un certo senso "giocato" con migliaia di praticanti occidentali?

 

Gli insegnamenti di ieri

Takamatsu è stato l'ultimo vero grande conoscitore del Ninpo Taijutsu preso nel suo insieme, trasmettendo i suoi saperi a pochi discepoli, di cui M.Hatsumi è stato il prescento per essere investito come nuovo detentore delle tradizioni giapponesi che egli conosceva, come si legge da una sua poesia al secondo dedicata: "Vi fu un tempo in cui ero un perfetto guerriero della tradizione koppojutsu. Ero coraggioso ed intenso come la fiamma, anche quando mi battevo contro animali feroci. Il mio cuore è come il selvatico fiore dei campi e tuttavia forte e dritto come il bambù. Neppure diecimila nemici possono spaventarmi. Chi v'è nel mondo che mantenga in vita questa volontà di un cuore di guerriero? Ecco, sei tu, colui che gli dèi marziali m'hanno inviato e che io ho aspettato per tutti questi anni" (trad. di Stephen K. Hayes)

L'evoluzione tradizionale del guerriero avviene attraverso lo sviluppo del suo controllo sugli equilibri fisici, psichici, spirituali, strettamente connessi tra loro. Il concetto di -PO è assai più vasto da questo punto di vista rispetto ai semplici -JUTSU (che ha a che fare con la sola tecnica) e -DO (che ha a che fare con precetti morali di derivazione samurai).  Il NINPO TAIJUTSU è ciò a cui fu addestrato M.Hatsumi, che a sua volta trasmise a pochi altri, prevalentemente giapponesi, di cui alcuni già praticanti dai tempi in cui Takamatsu era ancora in vita.  Successivamente il suo insegnamento si è esteso agli altri continenti, prendendo l'aspetto di BUDO TAIJUTSU (1993 - 2002). Personalmente penso che ciò sia dovuto al fatto che lo stesso Takamatsu iniziò il suo apprendistato con la Shinden Fudo Ryû che era una scuola di BUDO e non di NINPO; non a caso Hatsumi impostò come 5 regole del dojo Bujinkan quelle di questa scuola, e disse anche "the five different styles of Taijutsu are the expression of Budô Taijutsu; but Juppô Sesshô is the expression of Ninpô Taijutsu" (*), ovvero che i cinque metodi del Taijutsu (Taihen jutsu, Daken Taijutsu, Koppô jutsu, Kosshi jutsu, Jû Taijutsu) sono l'espressione del Budo, ovvero della via delle arti marziali in generale, ma è il Juppô Sesshô ad essere espressione del vero Ninpo Taijutsu. Tale Juppô Sesshô sarebbe stato insegnato negli anni 2003-2012 in due periodi distinti: il primo quinquennio sull'Omote Juppo Sessho, basato sul corpo (Sanjigen no Sekai, Yûgen no sekai, Kasumi no hô, Shizen, Kuki Taishô), il secondo quinquennio sull'Ura Juppo Sessho, basato sulla mente e sulla percezione (Menkyo Kaiden, Saino konki, Rokkon shojo, Kihon Happô, Kaname).  Tuttavia tutto questo Hatsumi lo insegnò anche nei primi anni settanta ai suoi allievi personali, di cui un numero esiguo era composto da occidentali. Stephen K. Hayes, il primo occidentale ad apprendere il Ninpo Taijutsu, scrive nella prefazione di un suo libro: "Vorrei esprimere la mia profonda gratitudine e ammirazione per Masaaki Hatsumi, trentaquattresimo maestro della tradizione di ninjutsu Togakure-ryu, per tutta la sua pazienza, generosità e accoglienza nel corso degli anni. Il mio legame con Hatsumi Sensei è tanto più rara e speciale per me ora che egli non accetta più nuovi allievi personali".

 

Gli insegnamenti di oggi

A quanto intuisco, Hatsumi Sensei aprendo i suoi insegnamenti al mondo (ad oggi si contano più di 2 milioni di praticanti), e soprattutto tenendo conto che per farlo c'era la ovvia necessità di costruire un sistema piramidale, che il mondo occidentale era del tutto impreparato sulle filosofie orientali più profonde, e che la figura del Ninja era completamente distorta dai media e dalle credenze dei popoli dell'ovest, debba aver deciso di procedere molto lentamente, e trattando dapprima i soli aspetti più "fisici", e solo molto dopo quelli che facevano i conti col buddhismo mikkyo e con la natura vera del Ninpo. Il risultato però è che attraverso un "passa parola e passa insegnamento", la stragrande maggioranza dei praticanti nel mondo, soprattutto quì in occidente, conosce (chi meglio e chi peggio) il solo Taijutsu, unito a precetti quali se ne possono trovare in molte altre arti marziali da difesa personale, rinchiusi nella denominazione "Budo", spesso enunciati con sfuggevolezza ed ipocrisia da venditori di prodotti come tanti altri "made in Japan" e mai, o quasi mai, da veri "corrieri" degli insegnamenti presi da Hatsumi o da altri grandi maestri che portino i loro messaggi continuamene, costantemente e realmente, dall'Hombu Dojo al resto del mondo. Spesso accade che quì in occidente, con grande riferimento all'Italia in cui vivo, un modo di fare approssimativo ed una cultura basata sulla competitività e sul capitalismo, portino alla formazione di istruttori molto abili quanto poco conoscitori dell'essenza vera di ciò che insegnano. Da questo punto di vista il Taijutsu prende i caratteri d'un elenco di tecniche stilizzate mirate al combattimento, mentre il significato stesso di Ninpo rimane sconosciuto. Si legge troppo spesso di "arte della furtività", "arte della sopportazione" (nell'accezione magari di sopportare scomode posizioni fino all'arrivo della persona da uccidere).  Ninpō è 忍法 , e vuol dire "legge divina del cuore/mente/spirito tollerante", che va in tutt'altra direzione rispetto alla semplice fisicità e ancor più rispetto alle idee di violenza, sopruso.

El carácter chino "Ren" es pictofonético (un carácter que está formado por la combinación de un elemento indicando significado y por otro indicando sonido). El carácter "Ren" (忍, tolerancia) está compuesto del elemento "xin" (心, corazón) que representa el significado y el elemento "ren" (刃, hoja de cuchillo) que representa el sonido. "Ren" significa soportar, contenerse y tolerar. También contienen la connotación de continencia y autocontrol. El carácter "Ren" (tolerancia) está formado colocando el "cuchillo" sobre el "corazón," como si "Ren" (tolerancia) sugiriera que no es fácil lograrla para las personas comunes, sino que requiere un alto nivel de cultivación, disciplina y voluntad. (*)

Il Ninjutsu deriva dal Ninpo, è l'applicazione marziale di alcuni principi contenuti nel Ninpo. Se si parla di Ninpo Taijutsu, vuol dire praticare di fatto il Ninpo ed applicarne dei suoi principi al Taijutsu, non praticare Taijutsu e sapere sommariamente che "Ninpo" ha a che fare con una qualche filosofia o religione giapponese. Sarebbe come cogliere del riso senza coltivare prima il grano nè curare la terra. Purtroppo è quello che invece accade, ed è così che avvengono episodi strani come Shihan che cercano di aprire associazioni di combattimento in gabbia a fin di lucro, altri che spacciano tecniche meditative vendendole per centinaia di euro e così via. Per quanto "bravi a picchiare" siano, sono semplici venditori di tecniche che giocano sull'impressione che incutono sui profani e sui gradi più bassi nella piramide. Decorsi simili si erano comunque già visti per molte altre arti marziali, quasi noi occidentali l'abbiamo per vizio.

Il punto è che probabilmente era necessario agire a questa maniera, trasmettere prima del Taijutsu e poi degli elementi di Ninpo, dacché le due cose sono sì estremamente interconnesse nell'essenza del guerriero, ma pur vero è che l'occidentale medio non comprende questo, pensando alle due cose come realtà differenti. Per poterci arrivare ad insegnarli assieme, Hatsumi a parer mio ebbe l'intuizione, pur se pericolosa, di attirare prima l'occidentale con le tecniche semplicemente fisiche a cui era tanto affezionato (fatto facilmente notabile ad esempio dal numero di praticanti di Karate rispetto a quelli, chessò, di Kyudo o di Iaido: entrambi dall'arcipelago nipponico derivano! Si immagini il Ninpo..), per poi affascinarlo pian piano ed avvicinarlo ad altri livelli di curiosità e quindi di consapevolezza. Tra l'altro, presentando il semplice Ninpo, si rischiava facesse la stessa fine del TaiChiQuan, un'arte marziale interna cinese, tradizionalmente micidiale nella sua applicazione marziale dimmak, che poi s'è persa nel tempo. Questo mio parere vien fuori anche dalla lettura di ciò che scrive ancora Stephen K.Hayes riguardo il suo primo incontro con Hatsumi nel giugno '75:
"Ha mai preso in considerazione di scrivere un libro sull'addestramento?" chiesi. Parlò Tanemura-san. "Hatsumi Sensei ha scritto parecchi libri in giapponese. Alcuni trattano di filosofia e altri sono per l'infanzia". "Spiegano nessuna delle tecniche o dei poteri superiori del ninja? O come sviluppare tali abilità?". Hatsumi Sensei mi guardò in modo curioso: "No, naturalmente no. Questa conoscenza non è per il pubblico. In ogni caso, nessuno crederebbe a questa abilità a meno che non l'abbia vista in azione". Mi porse una copia di uno dei suoi libri per bambini. Era illustrato con immagini di figure che si muovevano furtive in completi neri che rassomigliavano ai vestiti per il salto. Erano impegnati in vari tipi di combattimento con un incredibile assortimento di armi. "Questo è ciò che il pubblico pensa sia il ninjutsu, così lo assecondiamo. I veri segreti che sono stati tramandati per generazioni non sono per la pubblicazione. Sono per la conoscenza di alcuni eletti. Gli americani hanno visitato la nostra palestra, ma non abbiamo mai insegnato loro le vere tecniche del nostro sistema. Non abbiamo mai permesso a un americano di restare a studiare con noi. Sfortunatamente la nostra arte viene molto fraintesa oggi, e le leggende sui ninja tendono ad attrarre tipi di persone che non riteniamo saggio istruire. Anche un giapponese deve avere delle referenze che parlino a suo favore per accedere alla nostra palestra. Stiamo cercando il raro individuo che abbia l'abilità e il desiderio per riunire in un'unica personalità le forze sia del guerriero feroce che del saggio benevolo. [...] Forse questa è l'ora di aprire un po' di più il nostro addestramento ad altre persone del mondo, poiché lei ha percorso tutta questa strada per cercarci. In una visione più ampia della realtà che molte persone non vorrebbero comprendere, lei è da molto più tempo su questa strada di quanto forse si renda conto [...]".

La curiosità, il voler capire davvero cosa fosse il Ninpo, portò Hayes a compiere le sue ricerche fino a mettersi in viaggio per attraversare grandissime distanze e raggiungere chi deteneva quella conoscenza. Senza questo atteggiamento che porti ad "una visione più ampia della realtà", l'approccio alle arti marziali rimane un fatto fisico, tale da non poter più tracciare una linea di confine tra l'obiettivo "Ninniku Seishin" (l'essenza dell'uomo guerriero dalla tranquillità immutabile), che è il cuore pulsante del Ninpo Taijutsu, e l'obiettivo "vittoria in uno spettacolo in gabbia" che è in maniera diametralmente opposta il fine degli sport da combattimento. Come ho sempre affermato, lode ad una qualunque pratica, ma dare una definizione e degli obiettivi per ciascuna di esse, è l'unico modo per scoprire cosa davvero si vuole e prendere delle scelte attraverso il proprio senso critico ai bivi della propria via.

vedi anche NINPO TAIJUTSU

DHB - 2013/10/28

Pugilato e JuJutsu

27.07.2013 19:05

PUGILI E JUJUTSUKA

Differenze basilari d'azione nel combattimento

DIALOGHI SULLA DIFESA NEL PUGILATO E NEL JUJUTSU

          

 

Una domanda che spesso mi sono posto, e che mi hanno posto in tanti, è come reagirebbe un praticante di arti marziali tradizionali all'attacco, ad esempio, di un pugile moderno. Da ciò, traggo un pensiero sulle differenze, ad esempio, tra il pugilato di Alì ed il taijutsu di Takamatsu.

Il pugilato è un'arte marziale da competizione assai affascinante, soprattutto per quanto riguarda lo studio delle schivate. Un pugile professionista è ben allenato in questo, ed in uno scontro su ring come per strada, può facilmente e velocemente mettersi fuori dalla traiettoria d'un attacco di pugno. Si dice sempre che un pugile è vulnerabile alle gambe, dal momento che a parte il footwork mirato a dar velocità e potenza alle braccia, non conosce principi e tecniche di calcio, o di parate da calci avversari. Come la mettiamo però nei casi in cui un pugile alto due metri come Alì attaccasse un jujutsuka di un metro e sessanta come Takamatsu? Un episodio simile lo si può leggere in uno dei più famosi aneddoti di Takamatsu in Cina:

"All'età di 26 anni Takamatsu viveva in Cina. Insegnava a molti allievi e per questo fu sfidato da un Maestro di Shorinji Kung Fu di nome “Choshiryu”. Dopo aver rifiutato di combattere per ben due volte, al terzo invito Takamatsu accettò per non offendere il suo valore marziale.
Choshiryu era molto più alto, pesante e forte di Takamatsu, ma quando “l’arbitro” diede il VIA, entrambi i combattenti scattarono per attaccare. C’era una grande folla riunita e la battaglia iniziò. Choshiryu attaccava con calci e pugni e Takamatsu si difendeva contrattaccando a sua volta. Erano entrambi agguerriti ed il combattimento sembrava non finire mai. Quando Takamatsu stava per togliere l’ultimo respiro a Choshiryu con uno strangolamento, l’arbitro dichiarò finito il combattimento. Riprendendo fiato, Choshiryu si avvicinò a Takamatsu e si congratulò con lui per il bellissimo combattimento. Con estremo rispetto ed ammirazione per entrambi, i due combattenti andarono nel ristorante più vicino e parlarono fino a notte tarda. Da allora divennero grandi BUYU (amici marziali)"
.

Non si vive per assoluti, e tra l'altro Takamatsu era Takamatsu. Il fatto che egli abbia vinto su Choshiryu non rende ovvia la capacità di un jujutsuka di sapersi difendere da un attaccante esperto nel pugilato. In più, non è detto il contrario, ovvero che un pugile si sappia difendere dall'attacco di un jujutsuka, pur se le storie di aggressioni reali per strada, almeno quì in occidente, narrano al più di ex pugili e mai di ex praticanti di jujutsu. Globalmente in ogni caso, come è ovvio, tutto dipende sempre dall'indole dell'individuo, e da una serie di altri fattori. Tralasciando ciò, cerchiamo di capire dunque come ciascuno dei due praticanti si muoverebbe secondo i principi della propria disciplina, ovvero in cosa si differenzierebbe il loro metodo, come l'uno e l'altro dovrebbero agire per avere la meglio sull'avversario.

Prima di tutto, la distanza. Le distanze di un pugile sono quelle media e corta, rispettivamente per jab e cross, e per montante, gancio e swing. Le distanze di un jujutsuka tradizionale a mano disarmata, variano dalla lunga alla cortissima, ovvero da quella tipica dei calci, a quella corpo a corpo necessaria per l'utilizzo di prese, leve, strangolamenti, proiezioni. Il pugile ha una guardia molto chiusa, pronta ad incassare quando è necessario, ed in prima analisi difficile da 'rompere' per una tecnica di base del praticante di jujutsu che, parallelamente, ne mantiene solitamente una più aperta sia per le gambe che per le braccia. Ciò ha pro e contro per entrambe le parti. Il pugile infatti è abituato ad incassare con guantoni da 10 once; già nell'MMA le tecniche di pugilato sono riadattate per l'utilizzo dei guantoni da 4 once, che non proteggono il volto nè le stesse mani come fanno quelli da 10. Per strada questo concetto diventa ancora più pronunciato, rendendo il pugile più vulnerabile ad attacchi vari a braccia, mani e volto, che se messi a segno lo renderebbero meno efficiente e veloce rispetto a come sarebbe nel suo habitat sopra un ring. Tuttavia l'idea migliore per entrambi è quella di mantenere ciascuno le proprie distanze, e di non cercare di utilizzare quelle in cui l'aggressore sia evidentemente maggiormente allenato. Per questo per il pugile è meglio non entrare in clinch, come per il jujutsuka è meglio non cercar di boxare, nonostante rispettivamente il primo possa pensare di vincere nelle "strette" essendo più robusto del secondo, ed il secondo possa avere dalla sua la questione sull'assenza dei guantoni. Non sottovalutare mai l'avversario è una regola d'oro in qualunque contesto. Questi concetti tra l'altro spiegano ancora una volta il perché non si possa dire chi sia "più forte" tra un pugile ed un praticante di jujutsu, e perché un jujutsuka non possa competere in un incontro di boxe su di un ring, oltre alla questione sulla filosofia dietro l'arte largamente discussa nell'introduzione.

Secondo, gli spostamenti. Ad un attacco di jab sinistro, un pugile è abituato a schivare verso destra, e quasi mai verso sinistra dove troverebbe pronto un cross destro. Non lo fa quasi mai lui e non lo fanno i suoi partner d'allenamento in palestra, pegno un facile cross al volto. Difficilmente pertanto si aspetta una schivata verso l'interno del proprio raggio d'azione. Ancor più difficilmente però si aspetta un vero e proprio avanzamento con tutto il corpo, che vada a bloccare o comunque manipolare il suo destro prima ancora che egli lo utilizzi, e lo renda meno stabile sulla sua posizione. Questi due sono tra i principi fondamentali del taijutsu, ma un concetto simile è possibile vederlo anche nel wing chun (nell'esercizio del chi sao, "mani appiccicose"), o nel JiuJitsu dei fratelli Grace prima dell'utilizzo del NageWaza. In questa situazione di clinc, non c'è per strada un arbitro a dividere le due parti, e leve, proiezioni, strangolamenti, fatti bene, sono un qualcosa a cui il pugile non è preparato. Per questo un pugile per strada dovrebbe a parer mio cercare sempre di non entrare in clinc contro qualcuno che si sia allenato più di lui nella cortissima distanza, quale può essere un praticante di jujutsu, di muay thai, di judo, e cercare piuttosto di tenerlo distante con dei pugni veloci più che potenti. Parallelamente, un jujutsuka dovrebbe variare continuamente le distanze, cercando il momento utile per entrare nel raggio d'azione dell'avversario così da "appiccicarsi" a lui, e non sperare piuttosto di schivare tutti i pugni veloci del pugile.

Terzo, il lavoro di gambe. Il footwork di un pugile è unico nel suo genere, tanto da ispirare Bruce Lee ad aggiungerlo e personalizzarlo nel suo JKD. Nel jujutsu tradizionale analogamente esiste il tai-sabaki da cui sono nati i movimenti circolari dell'aikido, e questo è utile per entrare nella distanza corpo a corpo. Ci sono anche i calci, che potrebbero permettere di tener lontano il pugile, ma tornando al discorso di inizio pagina, questo concetto non è applicabile sempre, dal momento che il pugile può essere molto più alto del jujutsuka, e quindi non avere alcuna difficoltà ad entrare ugualmente nello spazio vitale dell'avversario coi suoi pugni. Se la stazza o per lo meno l'altezza fosse la stessa, questa difficoltà chiaramente verrebbe meno, ed un lavoro da parte del jujutsuka incentrato sull'indebolimento della parte inferiore del corpo del pugile attraverso i calci, darebbe in questo caso (e solo in questo) perfette opportunità di immobilizzazione o fuga (scopo della difesa personale), o di vessazione attraverso ulteriori colpi di gamba qualora le prime due opzioni non fossero possibili.

DHB - 2013/07/27

 

<< 1 | 2